La Nuova Sardegna

Alfonso Bonafede: «I tribunali più piccoli saranno potenziati»

di Tiziana Simula
Alfonso Bonafede: «I tribunali più piccoli saranno potenziati»

Parla il ministro della Giustizia: «Sono un presidio di legalità e vanno tutelati. Nell’isola ci sono stati miglioramenti nel civile ma nel penale c’è tanto da fare»

30 settembre 2018
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OLBIA. Rassicura sul destino dei piccoli tribunali e promette ossigeno a quelli in affanno, il ministro della Giustizia pentastellato Alfonso Bonafede. Lungi da lui l’idea di smantellare gli uffici giudiziari sul territorio «presidi di giustizia e legalità che in alcune realtà vanno, anzi, rafforzati». E in quest’ottica garantisce il suo impegno sulla grave scopertura di organico che paralizza l’attività del tribunale di Tempio. Non ci sarà nessun risparmio sul sistema giudiziario. Piuttosto «investimenti per sanare le carenze di strutture e personale».

Signor ministro, dal suo osservatorio di Guardasigilli qual è lo stato di salute della giustizia in Sardegna?

«Ci sono stati progressi nel settore civile, con miglioramenti nel rapporto tra procedimenti conclusi e procedimenti di nuova iscrizione. Nel penale rimane, invece, ancora tanto lavoro da fare, anche se registriamo esempi virtuosi, come in Corte d’Appello a Cagliari e al Tribunale di Lanusei. Con l’ultimo concorso per assistente giudiziario, poi, sono state assunte 100 unità negli uffici giudiziari sardi e vogliamo proseguire sulla strada delle assunzioni per colmare le carenze d’organico. A breve sarà indetta una nuova procedura d’interpello per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti su tutto il territorio nazionale. Per far funzionare la macchina della giustizia servono le persone, sono loro che fanno girare gli ingranaggi della macchina».

Gravi carenze di organico affliggono i tribunali di piccole dimensioni. Quello di Tempio Pausania, ad esempio, vive nella continua emergenza: attualmente ci sono 7 giudici presenti su 11 in pianta organica. Una situazione al limite della paralisi testimoniata da un’altissima percentuale di prescrizioni, pari al 50% in primo grado, con conseguenti casi di negata giustizia. Qual è il destino dei piccoli tribunali? Intende dare risposte al nostro territorio e se sì, in che modo?

«Conosciamo la situazione del Tribunale di Tempio Pausania, balzata ai nostri occhi dai dati sulla conclusione dei procedimenti. Purtroppo questa condizione di organici scoperti si ripercuote negativamente sui cittadini e quindi cercheremo di affrontare nel più breve tempo possibile il problema. Sulla geografia giudiziaria, stiamo svolgendo un supplemento di analisi e riflessione. Quello che posso già dire è che non agiremo considerando il sistema giudiziario come un campo dal quale drenare risorse per obiettivi di risparmio e taglio della spesa. È un’ottica sbagliata e pericolosa: i tribunali rappresentano un presidio di giustizia e legalità e, specie in alcuni territori, vanno tutelati e anzi rafforzati con risorse e personale adeguati».

Alla luce di questa situazione, ritiene che sei tribunali in Sardegna siano troppi o siano sufficienti?

«Già con Legge delega del 2011 sono state soppresse le sezioni distaccate di tribunale. Sulla base di quella riforma non possono essere fatti altri interventi perché vanno mantenuti i tribunali provinciali e almeno tre tribunali in ciascuna sede di corte d’appello. Come ho detto per altre regioni, anche in Sardegna, prima di decidere eventuali proposte di riassetto, andranno valutate attentamente l’attività di ciascun ufficio giudiziario e l’impatto della criminalità. In linea di massima posso dire che non è intenzione mia e del governo smantellare uffici giudiziari sul territorio né allontanare il servizio-giustizia dal cittadino. Per questo siamo impegnati a realizzare un migliaio di sportelli di prossimità nei prossimi due anni».

Come pensa di ridurre i tempi dei processi che oggi durano troppo a lungo. E un processo che dura a lungo danneggia imputato e vittime del reato?

«Quella della lunghezza dei processi è la vera emergenza su cui bisogna intervenire. A breve presenteremo la riforma della procedura civile ma, come detto, puntiamo su consistenti investimenti per sanare le carenze di strutture e personale. Stiamo lavorando anche allo sviluppo del processo digitale e telematico».

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Parliamo di libertà di stampa e di informazione, sempre più sotto tiro, con giornalisti minacciati, perquisiti, indagati. Il mondo politico può assumersi degli impegni a tutela dell’articolo 21 della Costituzione e del segreto professionale dei giornalisti?

«La libertà di stampa e d’informazione è un valore irrinunciabile per qualsiasi Stato democratico e di diritto e come governo abbiamo il dovere di tutelarla. Per quanto mi riguarda, abbiamo fatto quanto in nostro potere nei casi occorsi da quando siamo al ministero della Giustizia: abbiamo interessato il nostro ufficio ispettorato per le vicende che hanno riguardato un giornalista bresciano e uno siciliano, due perquisizioni su cui abbiamo chiesto una verifica sulla legittimità dell’azione dei magistrati».

Il drammatico caso della mamma detenuta a Rebibbia che ha lanciato giù dalle scale i due figli di sei mesi e un anno e mezzo, uccidendoli, riporta fortemente all’attenzione la questione dei bambini costretti a vivere in carcere da innocenti, in un ambiente non consono alla loro crescita. Non crede che si debba investire di più nella realizzazione degli Icam, gli istituti a custodia attenuata per detenute madri? In Sardegna, c’è un Icam. Inaugurato nel 2014 e mai aperto. Perché?

«Quella di Rebibbia è stata una tragedia che mi ha colpito nel profondo. Per questo mi sono precipitato subito sul luogo e, subito dopo, all’ospedale Bambin Gesù per avere informazioni sull’altro bimbo che ancora lottava per la vita. Abbiamo emanato immediatamente dei provvedimenti cautelari, in base a quanto ho potuto constatare personalmente e di cui non posso parlare per le indagini che sono ancora in corso. Sono rimasto sconcertato dalla strumentalizzazione fatta sulle spalle di due piccoli innocenti: mi sono vergognato di quanto hanno fatto e detto sindacati, politici e anche magistrati. Quanto agli Icam, ho inserito nell’atto di indirizzo del ministero la previsione di una struttura per regione perché il punto non è la capienza dei posti – attualmente queste strutture accolgono la metà della loro potenziale capienza – ma la vicinanza dai luoghi di origine. Ecco, ad esempio, la struttura a cui fa riferimento lei non è attiva perché in Sardegna c’è solo una detenuta con un figlio al seguito, a Sassari. Nella maggior parte dei casi le madri non vogliono abbandonare il proprio territorio in cui, magari, risiede il resto della famiglia».

Secondo lei, aumentare le pene per certi reati - come la corruzione - è un deterrente?

«Sulla corruzione, quella che stiamo realizzando, non è una semplice riforma ma una vera rivoluzione. Inasprire le pene è solo un elemento ed è la combinazione delle disposizioni contenute nello spazzacorrotti che renderà la corruzione non solo moralmente riprovevole, ma anche assolutamente non conveniente. È finita l’era dei ‘furbi’ che la facevano sempre franca. Con il Daspo per i corrotti, l’agente sotto copertura, i pentiti della corruzione, il carcere certo in caso di condanna, l’Italia chiude una stagione e ne apre un’altra: quella dell’onestà. Questa legge ha riflessi di sviluppo economico e culturale e di equità: gli imprenditori onesti possono finalmente contare su uno Stato al proprio fianco».

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Crede nelle misure alternative al carcere?

«Credo nel valore di queste misure e nell’utilità che possono avere in alcune circostanze. Ma una cosa deve essere chiara: la certezza della pena va garantita altrimenti i cittadini perdono la fiducia. Lo dico ancor più chiaramente: no a svuota-carceri o misure simili. Non c’è dubbio che dovremo lavorare per migliorare le condizioni del nostro sistema penitenziario, incrementando il personale di polizia penitenziaria e rendendo le carceri luoghi sicuri e dignitosi dove si rieduca e non solo si punisce il detenuto, così da preparare il reinserimento nella società. Per questo stiamo investendo su progetti di inclusione basati sul lavoro, lo sport, l’arte e la cultura».

Legittima difesa. In che termini intendete modificare l’attuale legge?

«Quella a cui il governo sta lavorando è una riforma seria ed equilibrata che contempera i diversi interessi in gioco. Dire che legittima l’omicidio o che favorisce la diffusione delle armi è sbagliato e non tiene conto del merito del provvedimento. Bisogna eliminare quelle zone d’ombra presenti nella legge che costringono un cittadino che si è legittimamente difeso, ad attraversare tre gradi di giudizio. Vogliamo fornire ai giudici un testo chiaro e senza ambiguità».

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