La Nuova Sardegna

Luigi, l’uomo della mattanza: è l’ultimo rais di Carloforte

di Simone Repetto
Luigi, l’uomo della mattanza: è l’ultimo rais di Carloforte

Biggio ha appena festeggiato i primi 20 anni di attività nelle tonnare «Ho iniziato come tonnarotto. È un lavoro che richiede una grande passione»

08 ottobre 2018
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CARLOFORTE. Il nome rais è di origine araba e sottintende massima autorità, soprattutto quando si guida un gruppo di persone in mare. Il rais non è un capo politico e nemmeno il comandante di una nave, ma il responsabile di un’attività vecchia di secoli, che nel Mediterraneo sopravvive solamente nelle acque del Sulcis-Iglesiente.

Al rais della tonnara la proprietà affida il delicato compito di preparare e calare le reti e il resto dell’impianto a mare, dirigere le varie fasi della pesca e in particolare della mattanza, ma soprattutto coordinare la ciurma, composta dai tonnarotti arruolati a terra e a mare per un’intera stagione, che va da febbraio a luglio. Su di lui pesano grandi responsabilità, nonché le scelte decisive per il buon esito della pesca. Deve conoscere le correnti, intuire il meteo che verrà e saper annusare l’aria salmastra che ogni giorno respira, nel tentativo di capire quando e come i tonni pinna blu accosteranno, per essere intrappolati nelle varie camere della tonnara. Soprattutto, deve instaurare con i suoi ragazzi un rapporto di stima e fiducia, nel rispetto reciproco.

Delle tre tonnare calate ogni anno nelle acque tra Gonnesa e Carloforte, il rais con maggiore esperienza è Luigi Biggio, che ha da poco festeggiato i primi vent’anni di attività, vissuta tra le tonnare di Portoscuso e dell’Isola Piana. Praticamente un affare di famiglia, dal momento che anche il fratello Ettore è rais, della tonnara di Porto Paglia però. «È un caso, forse la passione, sono cose difficili da spiegare. È un lavoro che senza passione non potresti fare – dice Luigi – È stata una sorpresa la festa che hanno organizzato per me negli antichi stabilimenti della Punta, non me l’aspettavo e devo ringraziare la famiglia Greco, amministratrice della tonnara di Carloforte. Abbiamo celebrato la messa all’interno della storica chiesetta, messa a lustro per l’occasione». I tonnarotti, per tradizione, credono e si affidano al divino per i migliori auspici. «Tonnara e religiosità sono due cose che vanno di pari passo, tenendo conto delle credenze antiche, dei riti che accompagnano le pesca da secoli. Anche se non più come in passato, continuiamo a fare qualche preghiera particolare, soprattutto di ringraziamento al termine della pesca. Tutti gli anni, all’inizio della stagione, il parroco di Carloforte viene a benedire le reti prima della calata in mare». Terminati i festeggiamenti, è tempo di ripercorre la carriera e rituffarsi nei ricordi. «Ho iniziato nel 1983. Mi occupavo di restaurare le barche che stavano a terra nello stabilimento di Portoscuso. Poi, quando si sono nuovamente calate le tonnare, per anni ho fatto il tonnarotto semplice, poi il sottorais ed infine il rais. Per più di un decennio, ho calato sia la tonnara dell’Isola Piana che di Portoscuso». Sempre pescando dall’album dei ricordi ne emergono tanti, legati a eventi particolari. «Momenti brutti in tonnara non ce ne sono stati tanti, anche perché se lavori con passione riesci a superare positivamente le difficoltà. Il ricordo più bello è stata una mattanza storica di 3300 pesci, nei primi anni Duemila. Era durato molto anche lo sbarco, per lavorare e conservare i tanti tonni nello stabilimento». Ma come vede il rais il cambiamento che ha avuto la pesca nell’ultimo lustro, con la cattura dei pesci vivi, poi trasferiti a Malta tramite gabbioni galleggianti? «Il sistema di pesca è cambiato per esigenze di mercato, che vuole prede vive. Quest’anno abbiamo fatto una piccola mattanza, nel rispetto delle quote imposte dall’Unione Europea. La stagione è andata abbastanza bene. Del vecchio modo di pescare è rimasto il calato e la mattanza. Non ammazziamo più i pesci con i crocchi, per il resto lavoriamo più o meno come prima. Cambiano i materiali, perché seguono i tempi».

Biggio ha qualcosa da dire anche sugli allevamenti marini dei tonni. «Quel sistema è parecchio diverso dalla fase di pesca. Anche in quel caso, però, ci sono dei termini, entro i quali i pesci vanno mattanzati e venduti al mercato. So che se ne parla, ma sono contrario ad instaurarlo dalle nostre parti. Andremmo a perdere quel poco di tradizione che resta e non abbiamo quell’indotto da poter giustificare certe situazioni, come l’inquinamento e l’avvicinamento di pesci che nei nostri mari non ci sono. Si, sono contrario agli allevamenti dei tonni. Mentre vedo bene l’inscatolamento di un prodotto di alta qualità, come avviene alla Punta. La ritengo un’attività importante».

Il rais è fiducioso per il futuro delle tonnare. «L’attività funziona bene. Se non dovessero esserci problemi a livello burocratico e normativo, penso possa andare avanti per parecchi anni. Purtroppo, col nuovo sistema di pesca sono diminuite le assunzioni di personale ormai da diversi anni. Tra Carloforte e Portoscuso ci sono 60-70 persone che oggi lavorano, anche nell’indotto. Tutto ciò che porta lavoro deve essere sviluppato, compreso il turismo e le immersioni col diving». Un ultimo pensiero il rais lo dedica alla sostenibilità delle catture. «La tonnara, essendo un complesso di reti ancorato e dunque fisso, è riconosciuto da più enti come uno dei sistemi di pesca meno impattanti sull’ambiente marino, dunque è un’attività sostenibile dal punto di vista ecologico».

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