La Nuova Sardegna

I confini chiusi fanno male al pianeta

Antonio Canu
I confini chiusi fanno male al pianeta

Riscaldamento globale e inquinamento non si fermano davanti alle frontiere, se l'ondata di chiusura andrà avanti sarà impossibile vincere le sfide che aspettano la Terra

14 ottobre 2018
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Quando l'esploratore norvegese Roald Amundsen raggiunse l'Antartide, i ghiacci avevano già intrappolato da almeno vent'anni scarti di piombo provenienti da una miniera australiana. Alla fine dell'800, negli specchi d'acqua del nord del Pianeta, c'erano già tracce d'inquinamento da azoto provenienti da siti industriali lontani migliaia di chilometri. La prima bomba atomica del mondo fu fatta esplodere il 16 luglio 1945, nel deserto del New Messico, negli Stati Uniti. Da allora è cominciata un'escalation di attività nucleari che hanno lasciato tracce radioattive per milioni di anni. I grandi cicli biogeochimici del nostro Pianeta, a cominciare da quello del carbonio, sono stati modificati dall'uomo. Questo significa che abbiamo alterato la componente chimica dell'atmosfera e gli scambi tra gli elementi. Le nuvole di smog non hanno confini, si muovono dove le portano il vento. Le chiazze di petrolio che galleggiano sul mare, non hanno meta, ma seguono le correnti. L'aumento della temperatura media del Pianeta, non tocca solo alcune aree, ma ha conseguenze ovunque. Da quando abitiamo la Terra, per tre quarti l'abbiamo trasformata. Tra poco saremo 8 miliardi e avremo bisogno di spazi, risorse, servizi di ogni genere.

Tutto questo per dire che sulla Terra, i confini sono una nostra invenzione. Che il concetto di confine naturale coincide con elementi geografici che prendiamo a prestito per separare due o più territori. Ma è solo un'interpretazione, non la realtà. Che di fronte a problemi globali - come i cambiamenti climatici, l'inquinamento, la povertà - la risposta deve essere globale. Che il concetto di confine ha anche il suo rovescio, cioè quello di mettere in contatto, non di separare. Stiamo invece assistendo al fenomeno contrario. Spira un vento di chiusura, di ritorno al passato, di sfiducia verso le politiche di apertura.

Se in alcuni casi si tratta di atteggiamenti critici verso forme di aggregazione politica ed economica a carattere sovranazionale, come sta avvenendo per l'Unione Europea, in altri si tratta di difendere la propria egemonia, come vuole l'attuale governo degli Usa. Mai come in questi giorni, il grido d'allarme degli scienziati sul futuro del Pianeta - causa i cambiamenti climatici - è stato così chiaro e perentorio. Eppure, a parte qualche commento di rito o di comodo, l'impressione è che per chi governa vengono prima i problemi di casa. Che le priorità sono altre. Ignorando, nonostante la mole di dati a disposizione, che proprio le chiusure amplieranno i fenomeni che si vogliono combattere. Se la Terra sarà più calda, migreranno verso nord sempre più disperati. Se le risorse saranno più scarse causa la siccità, ci saranno spostamenti di massa in cerca di terre ospitali. Se non si darà una prospettiva di vita alle popolazioni in difficoltà, queste saranno comunque costrette a cercare qualche opportunità altrove.

Non sono eventi nuovi per il nostro Pianeta. Il quale ha attraversato varie fasi, anche epocali. Quello che è diverso dal passato è che le trasformazioni in atto sono provocate da una singola specie, la nostra, e i tempi di impatto sono drammaticamente più veloci e spesso irrimediabili. Aprire i confini, non significa abolire le regole. Significa programmare, condividere decisioni, trovare soluzioni che siano in equilibrio.

Le convenzioni internazionali - come quella di Parigi sul clima - sono sicuramente importanti e necessarie. A patto che vengano poi applicate concretamente. Occorre però uno sforzo maggiore, più incisivo. E questo non può che avvenire nel farsi carico di una parte del problema e contribuire a risolverlo. Non è certo facile e non sarà facile. Ma se non si cambia approccio, se non si cambiano le strategie, se l'ondata di chiusura - nelle varie forme ideologiche e di governo oggi esistenti - prenderà il sopravvento, sarà dura vincere le sfide globali, siano esse ambientali o sociali. E allora ci si renderà conto che le barriere nazionali non saranno servite e anzi avranno contribuito a non risolvere i problemi.

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