La Nuova Sardegna

Delitto del lago, Ghilarza non è un paese di assassini

Alessandro De Roma *
Delitto del lago, Ghilarza non è un paese di assassini

«Credetemi. Io lo so. In questo paese ci sono cresciuto. Non è una landa desolata in cui i ragazzi crescono imparando a sparpagliare cadaveri nelle campagne dietro il cimitero. Non più di altri luoghi. Non peggio» - IL COMMENTO

20 ottobre 2018
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Di questa storia si parlerà ancora per moltissimo tempo. Troppe persone devono ancora decidersi a parlare e a raccontare quel che sanno. È una storia che peserà su Ghilarza e sulla sua comunità come un macigno. Nessuno, per tantissimi anni, potrà più girare per quei vicoli lastricati di basalto senza pensare alla tragedia che ha distrutto la vita di Manuel Careddu a diciotto anni. Ma Ghilarza non è un paese di assassini. Credetemi. Io lo so. In questo paese ci sono cresciuto.

Non è una landa desolata in cui i ragazzi crescono imparando a sparpagliare cadaveri nelle campagne dietro il cimitero. Non più di altri luoghi. Non peggio.

Ghilarza è invece uno dei paesi più belli della Sardegna. Dei più civili. Dei più ricchi di cultura e umanità. E questo è il momento giusto per dirlo. È lo stesso paese in cui sono cresciuti Antonio e Teresina Gramsci scambiandosi impressioni critiche sulle opere di Tolstoj e litigando sui romanzi di Carolina Invernizio. È il paese del mese della cultura, delle associazioni di volontariato, delle case ben tenute, delle chiese e dei novenari campestri. Il paese che, proprio in queste settimane, lotta per tenere aperto il suo ospedale.

Questo è più che mai il momento per dirlo, perché bisogna assolutamente opporre qualcosa al nulla di vite gettate al vento: non quella di Manuel, che non ha potuto scegliere, ma quella dei suoi assassini. E bisogna farlo subito. Opporre a quel nulla il senso di un'esistenza piena e di una comunità solidale.

Dire e ribadire mille volte che dei propri figli bisogna aver cura, sorvegliarli, insegnargli il rispetto per il prossimo e per le cose. Correggerli. Aiutarli a rialzarsi, se cadono. Pretendere tutto quel che possono dare e, talvolta, anche di più, soprattutto quando si tratta del rispetto per i principi morali.

I ghilarzesi sono sempre stati orgogliosi del proprio paese. Spesso perfino troppo. Ora questo orgoglio dovranno di nuovo meritarselo, rimboccandosi le maniche. Dimostrando che gli si addice ancora la fama di comunità laboriosa e solida.

Non è facile. Si può fare solo avendo davvero voglia di sorreggersi a vicenda e di aprirsi al prossimo. Ripartire dalle proprie tragedie guardandole in faccia, una volta che anche le ultime parole saranno state dette e Manuel avrà avuto la sua tomba e i suoi fiori. E dopo che, chi deve pagare, avrà pagato.

Non è facile perché Ghilarza è solo uno tra i tanti posti del mondo, in bilico su una voragine, nell'anno 2018.

Un genitore deve sapere che a Ghilarza, come a Santulussurgiu, a Sedilo, a Paulilatino, a Borore o a Macomer, i loro figli trovano tutte le cose belle, ma anche tutte le cose terribili che potrebbero trovare a Los Angeles o a Città del Messico.

Quando camminate per le strade del vostro paese, pensate di camminare per le strade di una metropoli splendida e pericolosa. Non esiste più la provincia. Su internet ci si affaccia, senza preavviso alcuno, su ogni panorama che sia possibile contemplare in questo mondo.

Non trascurate di guardare in ogni angolo, siate curiosi delle cose belle, ma anche di tutti i segnali di allarme dei vostri figli. Personalità non formate e, talvolta, ancora cieche davanti al valore dell'esistenza che si apprestano a vivere. Abituate troppo spesso già giovanissime alla violenza dei social network e a sputare sentenze superficiali, senza tenere conto del peso di ciò che dicono.

Anche noi, come i ragazzi più giovani, fermiamoci a chiedere, a osservare. Smettiamola di odiare tutto e tutti in modo così spietato e frenetico. Pretendiamo invece che ciascuno paghi per gli errori che ha commesso, questo sì: i più lievi come i più gravi. E insegniamo a chiedere perdono. A tornare sui propri passi. Mostriamo di saperlo fare noi stessi per primi. Soprattutto insegniamo a sognare vite migliori. Lo facciamo sempre meno spesso. E a costruire comunità dove nessuno può sbagliare da solo, perché quando si sbaglia, ma non si è soli, raramente si commette l'irreparabile.

*nato a Ghilarza nel 1970, ha pubblicato Vita e morte di Ludovico Lauter, La fine dei giorni, Il primo passo nel bosco (Il Maestrale, 2007, 2008 e 2010), Quando tutto tace (Bompiani, 2011) e La mia maledizione (Einaudi 2014). È docente al Liceo scientifico Marconi di Sassari.

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