La Nuova Sardegna

Il tacco 12 per calpestare l'odio via web

Vanessa Roggeri
Il tacco 12 per calpestare l'odio via web

Ancora una volta, la piazza virtuale dei pettegoli di tutto il mondo ha fatto emergere i peggiori istinti in chi riteneva che l’anonimato l’avrebbe protetto da qualsiasi conseguenza - IL COMMENTO

21 ottobre 2018
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Se proprio dovessi autodefinirmi potrei riassumermi dicendo che sono una ragazza casual, il cui motto è “la comodità prima di tutto”. Da bambina facevo il diavolo a quattro quando mia madre mi obbligava a mettere le scarpette in vernice per andare al catechismo, e da adulta, tolte le cerimonie ufficiali, ho imparato a portare le scarpe con i tacchi giusto alle presentazioni dei miei libri. È inutile girarci intorno: il tacco alto dona quel tipo di eleganza che un’arcata plantare raso terra non riesce a dare.

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Ci sono donne che come me se ne infischiano di slanciare la gamba, altre che a questo decoro tutto femminile invece non vogliono rinunciare. Perché per loro presentarsi in ordine, dalle mèches perfette al decolté della scarpa, è una priorità, una forma di rispetto nei propri e negli altrui confronti, e non importa se l’occasione sia una cena di gala o la fila alla cassa del supermercato. Non importa nemmeno se l’occasione è un corteo religioso. Qualche tempo fa mi è capitato di notare alcune signore che alla processione del patrono di un paese del cagliaritano indossavano un bel tacco 12, ma a differenza dei quei gentiluomini di Sassari che hanno messo alla berlina tre concittadine e andranno a processo per diffamazione aggravata, non ho pensato che fosse volgare esibizionismo.

Ho invece ritenuto, e ritengo tutt’ora che sia una forma di moderna penitenza, un modo per mettere alla prova il proprio stoicismo religioso, la propria fede di credente. Soltanto chi non ha provato questa dolorosa tortura podologica può pensare che una donna si sottoponga a 6 chilometri di marcia per ostentare vanità.

Ma ammesso e non concesso che ognuno può pensarla come gli pare, è ancora una volta Facebook a far degenerare in reato ciò che doveva rimanere una critica personale fine a sé stessa. Ancora una volta, la piazza virtuale dei pettegoli di tutto il mondo ha fatto emergere i peggiori istinti in chi riteneva che l’anonimato l’avrebbe protetto da qualsiasi conseguenza.

Purtroppo per loro non funziona così. In questi tempi ipertecnologici l’anonimato è difficile da ottenere e nella maggior parte dei casi basta davvero poco, un’indagine quasi dilettantistica, per risalire agli autori di calunnie, diffamazioni e bullismo a buon mercato.

A voi piacerebbe che per strada uno sconosciuto immortalasse qualche parte anatomica del vostro corpo – foss’anche la falangetta del mignolo – e la pubblicasse su ben due pagine Facebook (ricordate che il bacino di utenti è potenzialmente illimitato) aizzando il popolo dei partecipanti allo show social alla derisione, al pubblico ludibrio fino all’insulto infamante?

Se questo non è ledere la dignità personale non so cos’altro lo sia. Il gip Carmela Rita Serra ha rigettato la richiesta di archiviazione: è tempo che si ponga un freno più deciso alla piaga dello sciacallaggio sfrenato che furoreggia sui social media.

Ciò che prima di bocca in bocca veniva riferita come chiacchiera di quartiere, adesso viene ingigantita e caricata dai social come una bomba che nella sua deflagrazione manda in pezzi amicizie, relazioni sentimentali, reputazioni e qualche volta anche parentele. Il confine tra mondo reale e mondo virtuale è sempre più sottile, si fondono e si confondono, ma per fortuna anche il mondo giudiziario si sta adeguando.

Il regno dei cosiddetti haters, gli odiatori seriali, non è più così inafferrabile; i suoi confini si delineano progressivamente illuminando quelle zone d’ombra che offrono riparo a tutti coloro che della vigliaccheria hanno fatto un segreto marchio di fabbrica. Per questo motivo hanno fatto bene le signore di Sassari a rinunciare all’anonimato e a non lasciarsi intimorire dai commenti volgari e sessisti sui social da parte di tre utenti che evidentemente nella vita non hanno di meglio da fare.

Con o senza tacchi, sono certa che sapranno proseguire a passo deciso lungo la via della giustizia che garantisce a ognuno di noi la libertà di vestirci come più ci aggrada.
 

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