La Nuova Sardegna

Delitto del lago, il piano degli assassini era destinato al fallimento

Enrico Carta
Le ricerche del corpo di Manuel Careddu
Le ricerche del corpo di Manuel Careddu

I carabinieri seguivano una pista, la microspia nell’auto ha velocizzato le indagini. Le indicazioni della mamma di Manuel, Fabiola Balardi, erano state molto precise e la sorte del branco era segnata

23 ottobre 2018
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GHILARZA. Manuel Careddu poteva essere salvato? C’era un modo per evitare che l’omicidio si compisse? Si poteva fermare prima il piano degli assassini? La risposta è contenuta in quella microspia diventata l’elemento chiave dell’indagine conclusa a tempo di record. Non ci fosse stata, i carabinieri e la procura di Oristano sarebbero arrivati comunque a scoprire che fine avesse fatto il diciottenne di Macomer e chi l’avesse ucciso. Avevano troppe indicazioni, erano già sulla pista giusta dal momento in cui hanno preso in carico l’indagine perché le indicazioni di Fabiola Balardi, la mamma di Manuel, erano state assai precise. Ci avrebbero messo più tempo, avrebbero usato altri metodi, ma la sorte degli assassini, almeno di una parte di essi, sarebbe stata comunque segnata.

La microspia. Quell’aggeggio, piazzato nell’auto poi usata per condurre il ragazzo verso il suo “miglio verde” di una condanna già scritta dai carnefici anche nei modi in cui doveva essere eseguita, avrebbe forse consentito di fermare la mano omicida soltanto se qualcuno fosse stato all’ascolto. Ma nessuno ascoltava più i dialoghi che avvenivano dentro la Punto di proprietà di Maurizio Fodde, il padre di Christian, uno dei quattro ragazzi presenti sulle sponde del lago per commettere materialmente il delitto. Perché il fatto che lì ci fosse la microspia era solo una coincidenza. La pista che aveva portato gli inquirenti a metterlo sotto indagine per l’omicidio del compaesano Mario Atzeni, avvenuto nel settembre del 2017, si era raffreddata. I sospetti della prima ora non erano più tali, per cui i carabinieri avevano deciso di concentrare la loro attenzione su altre inchieste, nessuno più ascoltava. In questi mesi però la microspia, che non avevano avuto modo di disattivare, aveva funzionato tracciando i percorsi dell’auto e registrando i dialoghi che avvenivano al suo interno. Anche quelli precedenti e successivi al delitto dell’Omodeo.

È possibile dunque che dentro l’auto, oltre ai dialoghi intercettati e già finiti all’interno dell’ordinanza con le misure di custodia cautelare dei giudici per le indagini preliminari del tribunale di Oristano e del tribunale dei minori di Cagliari, ne siano avvenuti altri che forse avrebbero potuto mettere sul chi va là. Forse – ovviamente per motivi d’indagine, se ci sono state altre conversazioni non sono state ancora divulgate agli avvocati difensori – dentro quella stessa auto potrebbe essere stato progettato l’omicidio. In tal caso, se in ascolto, si sarebbe potuto intervenire facendo saltare il piano e arrestando tutti per tentato omicidio. Ma di fatto la microspia era “dormiente”, inutilizzata. Più difficile sarebbe stato un intervento la sera del delitto, perché, con Manuel Careddu in macchina, gli altri tre ragazzi non parlano mai del fatto che debbano saldare il loro debito per un acquisto di droga in quel modo brutale.

L’omicidio poi avviene a qualche decina di metri dal punto in cui viene parcheggiata l’auto, con la sola G.C. che rimane a bordo in attesa che gli altri compiano la missione di sangue. È il motivo per cui, per quasi un’ora e mezzo, la microspia registra solo qualche singhiozzare della ragazza che di tanto in tanto si lascia andare al pianto. Non si capisce se veda oppure no quel che sta avvenendo sul corpo di Manuel Careddu. Il silenzio non fa intuire se davanti ai suoi occhi si consumi il delitto studiato a tavolino al quale partecipano, con ruoli ancora da definire, l’altro minorenne C.N., Riccardo Carta e Matteo Satta che invece rimane in paese coi telefonini di tutto il gruppo per evitare che ci possano essere sorprese con i ripetitori telefonici che agganciano il segnale.

Quando rientrano in auto, tutto è già compiuto. Non è però certo un caso se, qualche giorno dopo la scomparsa di Manuel Careddu – ancora nessuno sa con certezza che fine abbia fatto –, i carabinieri vadano a verificare per prima cosa il tragitto effettuato dall’auto di Christian Fodde e quindi si mettano all’ascolto dei dialoghi per scoprire l’abisso in cui era sprofondata questa vicenda di ragazzi e morte.
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