La Nuova Sardegna

Car T: l’immunoterapia speranza contro il cancro

di Lia Palomba
Car T: l’immunoterapia speranza contro il cancro

Il racconto dell’oncologa sassarese Palomba: così combattiamo i linfomi. Le storie di Daniel e Concetta, la possibilità di guarire grazie alle cellule killer

25 ottobre 2018
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NEW YORK. Una famiglia della classe operaia americana dove mangiare la cena sul tavolo basso davanti al divano, accovacciati tra cuscini macchiati e coperte mordicchiate dal cane di casa è la perfetta normalità.

L’incontro con Daniel. Non so come Daniel abbia sentito parlare dello Sloan Kettering Cancer Center a New York. Ma so che il giorno che incontrai il suo sguardo per la prima volta, la faccia butterata dai segni di un’acne giovanile non curata, i tic, i movimenti incessanti, il primo istinto è stato quello di volerlo togliere dai pasticci. A Daniel era stato diagnosticato un linfoma non-Hodgkin (LNH) a grandi cellule B circa un anno prima. Aveva fatto sei cicli di chemioterapia, si era presentato puntuale ogni tre settimane nell’ufficio del suo oncologo di Portland, aveva perso i capelli e gli si erano sfoltite le sopracciglia e la barba. Nonostante il suo essere scoordinato e insofferente, era stato un paziente disciplinato, aveva tollerato la chemio senza nessun effetto collaterale e si aspettava, come il 60% dei pazienti con il suo tipo di linfoma, di poter essere dichiarato “guarito” dopo cinque anni. Ma quello non era il destino di Daniel.

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La Pet fatta al termine della terapia aveva dimostrato che alcuni dei linfonodi interessati dalla malattia non erano regrediti completamente. Il ragazzo aveva quello che si definisce linfoma refrattario, e la sua prognosi, improvvisamente, si riduceva ad un misero 20%. Gli vennero somministrate un paio di altre terapie convenzionali, ma dopo uno o due cicli i sintomi ritornavano dichiarando di nuovo la recidività del suo linfoma. E così cominciò il suo viaggio verso New York e la sua lotta per la vita.

La storia di Concetta. Dall’altra parte dell’oceano, nel 1964, in un paesino della Sicilia in provincia di Agrigento, la signora Concetta preparò le valigie e con molto coraggio seguì suo malgrado il marito operaio, con aggrappate al collo due gemelle di appena un anno, sul piroscafo che li portò a New York a iniziare una nuova vita. Una vita semplice, sicuramente contraddistinta da momenti di malinconia e nostalgia dei sapori e colori lasciati alle spalle. Un giorno di quasi due anni fa Concetta cominciò a lamentare dolore alla gamba sinistra, e dopo qualche settimana al dolore si aggiunse una difficoltà a sollevare il piede mentre camminava, conducendola a cadere in varie occasioni. Anche per Concetta la causa del suo malore si rivelò un linfoma non-Hodgkin a grandi cellule B, e anche nel suo caso, come stava succedendo a Daniel a migliaia di miglia di distanza, la prima chemioterapia non funzionò completamente. Il danno al nervo sciatico rese la gamba pesante e immobile, e Concetta cominciò ad usare farmaci antidolorifici potenti che la rendevano stanca, e un girello per poter muoversi indipendentemente. Anche per lei le successive terapie non portarono alla remissione completa e anche lei arrivò nel mio ambulatorio di New York con la speranza che le potessi offrire una seppur piccolissima via d’uscita.

Concetta ha quasi 80 anni, è minuta e ha degli occhi neri stupendi, che si illuminarono sorridenti quando la accolsi con un “buongiorno, signora” in italiano, facendo tutti gli sforzi possibili per capire il suo siciliano stretto. Con un abbraccio mi disse: “Dottorè, sono nelle sue mani”.

Pazienti zero. Daniel e Concetta sono due classici esempi di pazienti con linfomi LNH che riempiono la mia giornata allo Sloan-Kettering Cancer Center, dove faccio parte della Divisione di Ematologia Oncologica e dove mi occupo di terapia sperimentale per i linfomi. Molti di questi pazienti arrivano da noi dopo aver fallito le cosiddette terapie convenzionali. Sono pazienti fisicamente fragili, e sconfitti dal fatto di non essere capitati nel gruppo del 60% che da certi tipi di linfoma può guarire per sempre. Daniel e Concetta fanno parte di un gruppo di pazienti che, stoicamente, con enorme coraggio, hanno deciso di affrontare una nuova terapia sperimentale che comporta un altissimo rischio di effetti collaterali, anche gravi e difficili da gestire, ma che si è rivelata una “success story” per molti di quelli che l’hanno ricevuta.

La nuova terapia. La terapia a cui mi riferisco si chiama CAR T cells therapy. È stata approvata dall’ente per l’approvazione dei farmaci americano, l’FDA, nel 2017 e, nell’agosto 2018, dall’ Agenzia europea per i medicinali (Ema). I linfomi sono neoplasie del sistema immunitario. I più frequenti sono I cosiddetti linfomi non-Hodgkin che per la maggior parte derivano da cellule chiamate cellule B. Queste sono le cellule che, in una situazione normale, producono gli anticorpi che ci difendono da virus e batteri, e che circolano indisturbate nel sangue, facendo sosta nel midollo, la milza e i linfonodi a seconda della necessità dell’organismo. I linfonodi sono generalmente i primi ad essere interessati quando queste cellule crescono incontrollate producendo un processo neoplastico, e tipicamente un paziente con linfoma arriva all’attenzione del medico perché nota un linfonodo ingrossato. Solo una biopsia può confermare la diagnosi e distinguere fra i più di 50 tipi istologici. Le chimeric antigen receptor T cells (CAR T cells) sono anch’esse cellule del sistema immunitario (cellule T, che ci difendono dalle infezioni trasformandosi, quando sono state attivate dall’agente invasore, in cellule killer, capaci di rilasciare sostanze letali che distruggono a contatto).

Le cellule vengono prelevate dal sangue del paziente, modificate in laboratorio e poi reinserite tramite un piccolo catetere venoso, nella speranza che scovino le cellule tumorali e, attivandosi e moltiplicandosi, le distruggano. Questa tipo di immunoterapia, senza dubbio, rivoluzionerà il modo in cui tratteremo il cancro in futuro.

La sperimentazione. Gli effetti collaterali possono essere devastanti. Allo Sloan-Kettering i primi protocolli sperimentali con le CAR T cells cominciarono nel 2006. In 12 anni abbiamo imparato a prevenire o almeno gestire le febbri altissime, convulsioni, ipotensione, afasia e altri effetti collaterali altrettanto terrificanti. Mi piacerebbe raccontare che sono tutte storie a lieto fine, ma purtroppo siamo ancora lontano da una remissione completa per tutti. Anche se il 70-80% dei pazienti risponde alla terapia, cioè i linfonodi cominciano a svanire, i sintomi ad attutirsi, l’umore a migliorare, purtroppo solo il 45-50% ha una risposta prolungata che continua per almeno un anno. I fortunati che arrivano a celebrare il fatidico anno, hanno molte speranze sul buon esito della cura, anche se gli studi sono troppo recenti per sapere cosa succederà a questi pazienti tra un altro anno, o cinque, o dieci.

Daniel e Concetta. Daniel ricevette le CAR T cells nel novembre 2017 e Concetta nel marzo 2018. Daniel putroppo non è più con noi. A un mese dall’infusione delle CAR T cells i grossi linfonodi che gli riempivano lo spazio fra il cuore e i polmoni si erano ridotti fino a quasi scomparire e i sintomi di dispnea erano scomparsi. Nella sua breve e difficile vita i momenti in cui abbiamo guardato insieme le immagini della sua malattia sul computer e abbiamo visto quelle grandi macchie nere diventare puntini di pochi millimetri sono stati momenti di pura felicità, ho visto per la prima volta la sua faccia piena di tic rilassarsi e sorridere incredula. Purtroppo alla Pet successiva le macchie nere erano ricomparse. Daniel, con una tristezza inimmaginabile a chi non è mai stato vicino alla morte, scelse di tornare a passare gli ultimi mesi della sua vita con la madre. È morto la scorsa primavera. Ma Concetta non usa più il carrello per girare per la casa, non prende più farmaci antidolorifici e cucina gli spaghetti con la salsa al pomodoro quando le gemelle vanno a trovarla. Sono passati solo 7 mesi, e non riusciamo ancora a dirle “ce l’hai fatta”.

Però siamo convinti di averle donato qualche mese di serenità e, forse, un giorno saremo in grado di dirle che le abbiamo salvato la vita.

La ricerca. Questa terapia deve essere migliorata, e le nuove CAR T cells di seconda e terza generazione, nonchè quelle allogeniche, cioè da donatore, sono pronte per una nuova conquista. In Italia il compito di amministrare le CAR T cells è stato dato a pochi centri altamente specializzati in grado di offrire sia le cellule approvate dall’Agenzia Europea dei Medicinali, ma anche cellule più avvenieristiche, modificate in modo da produrre, in futuro, risultati anche più entusiasmanti. I costi, attualmente, sono disarmanti.

Solo con un aumento del prodotto disponibile si potranno contenere. Noi ricercatori negli Usa, Europa, Cina, Giappone, Australia, continuiamo senza sosta a modificare, aggiungere, combinare, creare molecole “Frankenstein” per sconfiggere i linfomi a colpi di cellule T.

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