La Nuova Sardegna

Il sesto uomo rimane in carcere

di Simonetta Selloni
Il sesto uomo rimane in carcere

Il gip di Oristano convalida il fermo di Caboni, accusato di avere sepolto il corpo

27 ottobre 2018
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CAGLIARI. Nicola Caboni resta in carcere, con l’accusa di occultamento di cadavere. È quanto ha deciso la Gip del tribunale di Oristano Annie Cecile Pinello, che ieri ha sciolto la riserva dopo l’interrogatorio di convalida del fermo di indiziato di reato. Caboni è accusato di aver nascosto il corpo di Manuel Careddu, sesta colonna del quintetto di giovani già in carcere per omicidio volontario pluriaggravato. Il ragazzo è difeso dagli avvocati Marcello Sequi e Irene Gana, ha accettato di rispondere alle domande del magistrato davanti al sostituto procuratore della Repubblica di Oristano Andrea Chelo, titolare dell’inchiesta. Ma evidentemente la sua posizione, seppure meno grave rispetto a quella degli altri, non è per ora compatibile con misure meno severe della detenzione e la conseguenza è che rimarrà rinchiuso nel carcere di Massama.

Ieri però è stata anche la giornata in cui il baricentro delle indagini si è spostato a Cagliari. È lì, alla Procura dei minori, che è andata la madre di Manuel Careddu, Fabiola Balardi. Per alcune ore ha risposto alle domande del procuratore della Repubblica per i minori, Anna Cau, e della sostituta Maria Chiara Manganiello, titolare dell’inchiesta per quanto riguarda la posizione dei due 17enni. Fabiola Balardi è stata sentita in qualità di persona informata sui fatti. Ad accompagnarla a Cagliari è stato il suo legale, l’avvocato Luciano Rubattu. Lui però non ha partecipato all’incontro, e d’altronde non ne ha titolo perché non lo richiede la posizione della sua assistita. Sui contenuti, massimo riserbo: «La Procura ci ha chiesto riservatezza», ha sottolineato. Ma non è difficile dedurre quali possano essere stati gli argomenti. Che la donna avesse la percezione della fine fatta dal figlio e soprattutto per mano di chi, è un dato incontrovertibile. Di elementi che lo provano è costellato il corposo fascicolo dell’inchiesta; e d’altronde, Fabiola Balardi, prima che l’indagine deflagrasse con gli arresti dei cinque accusati dell’omicidio (oltre i due minorenni, Christian Fodde, Matteo Satta e Riccardo Carta), per ben due volte era andata sulle rive dell’Omodeo. A spingercela, qualche mezza frase sussurrata a sostegno di una verità irreparabile. Fabiola Balardi aveva già parlato agli inquirenti dei suoi sospetti. Aveva fatto nomi, indicato circostanze. Che poi hanno trovato conferma, tra intercettazioni ambientali e riscontri incrociati. Al punto da far dire a Christian Fodde: «La prossima volta che mi va a denunciare, le stampo un proiettile in testa». Registrazioni di una notte di delirio e di morte, di ragazzini che uccidevano un altro ragazzino.

Mentre è in corso l’esame dei cellulari dei sei ragazzi arrestati, sempre a Cagliari il Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri sta completando le analisi sulla compatibilità del Dna del corpo disseppellito nelle campagne di Ghilarza con quello di Fabiola Balardi. La prova attesa per restituire Manuel alla famiglia. E chiudere almeno questo pietoso capitolo di una storia che sembra uscita da un romanzo criminale. Sembra. Ma è tutto vero.



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