La Nuova Sardegna

La giudice: «Stop alla prescrizione? Forse è utile, ma non basta»

Mauro Lissia
La giudice: «Stop alla prescrizione? Forse è utile, ma non basta»

Consenso e perplessità da Cristina Ornano, magistrata e segretaria generale di Area. E chiede una riforma equilibrata per limitare la durata dei processi penali

09 novembre 2018
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CAGLIARI. Fine processo mai: lo stop alla prescrizione dei reati dopo il primo grado di giudizio è passata ed entrerà in vigore a gennaio del 2020 insieme alla riforma della giustizia penale. Ma se gli effetti del provvedimento sono lontani, le reazioni sono di queste ore: magistrati sostanzialmente a favore, avvocati sul piede di guerra. Cristina Ornano, giudice a Cagliari e segretaria generale di Area, l’ex Magistratura democratica, è favorevole ma con alcune riserve: «Sul tema della prescrizione dei reati - spiega - la posizione della magistratura è chiara ed è stata espressa sia dall’Anm col presidente Francesco Minici che dal primo presidente della Corte di Cassazione: in linea di principio siamo favorevoli a congelarla anche dopo la sentenza di primo grado, ma trattandosi di un provvedimento isolato non può essere risolutivo».

Può spiegare perché?

«Perché i grandi problemi del processo penale restano e c’è il rischio che il provvedimento provochi ricadute sulla ragionevole durata del processo, con effetti distorsivi sul sistema. Se oggi abbiamo circa 60 mila processi pendenti nelle corti d’appello italiane, 1568 nel distretto della Sardegna, senza la prescrizione nei prossimi anni dovremmo gestire in secondo grado dai 70 agli 80 mila processi».

Con il conseguente ingorgo in Cassazione.

«Certo, si formerebbe un carico notevolissimo soprattutto sul fronte penale. In altre parole, i processi si allungherebbero perché mancano le risorse per celebrarli in tempi adeguati. Fra l’altro non abbiamo neppure le risorse per mettere in esecuzione le sentenze, che spesso diventano virtuali».

C’è un’alternativa?

«Metter mano al processo penale, con una riforma del sistema. Servono interventi coraggiosi di depenalizzazione, per alleggerire la materia penale di una serie di reati di tipo contravvenzionale che si potrebbero chiudere con sanzioni amministrative».

Di depenalizzare i reati minori si parla da decenni, perché secondo lei c’è stata e c’è ancora tanta resistenza da parte del legislatore?

«Perché la politica ha timore di assumere scelte che possono risultare impopolari, da tempo e oggi ancora di più la parola sicurezza viene declinata in un’accezione che non fa più riferimento ai meccanismi di protezione e di tutela della persona, alla sicurezza sociale, ma in una logica di difesa dal nemico esterno, dalla presunta minaccia dei migranti. Si è alimentato a livello mondiale un senso di paura nelle persone. I politici temono che depenalizzare possa costare in termini di consenso».

Poi ci sono problemi nel rito processuale, lento e inconcludente.

«Sicuramente. Per esempio la rinnovazione, basta che venga cambiato un giudice e il processo deve ricominciare daccapo. Uno spreco inutile, abbiamo la registrazione dell’udienza e la stenotipia. C’è anche il problema delle notifiche, basterebbe usare la comunicazione digitali».

Lei ricorderà il caso Fideuram, 24 condanne in primo grado e 23 prescrizioni in appello. Non un gran momento, per la giustizia sarda.

«Ricordo bene, scrissi la sentenza di primo grado. Certo, un processo che va in prescrizione è un fallimento dello stato. Ma esiste il principio di presunzione di non colpevolezza, tenere aperto un processo che non si concluda in tempi ragionevoli, come stabilisce la Costituzione, significa esporre il cittadino a una pendenza dannosa, a un pregiudizio che ostacola la vita professionale e privata».

Insomma, sono indispensabili tempi certi di definizione del processo.

«Sì, direi che la sospensione della prescrizione da sola non basta. Si potrebbe affiancare a questo provvedimento la prescrizione processuale, prevista in altri sistemi: un tempo massimo stabilito tra la chiusura delle indagini e il giudizio. Potrebbe essere una soluzione equilibrata».

Perché questa differenza enorme fra la durata dei processi in paesi come Francia o Germania e l’Italia?

«Differenze negli organici di magistratura e cancellerie, meno gradi di giudizio e limiti al diritto di impugnare le sentenze. Altrove non c’è l’obbligo dell’azione penale e le procure selezionano le notizie di reato in base alla possibilità di successo delle indagini. Chi da la colpa ai magistrati sbaglia, basta consultare il rapporto Cepej 2018: i giudici italiani sono tra i più efficienti d’Europa».

Un anno di tempo per migliorare l’offerta di giustizia.

«Spero che venga impiegato per discutere con magistrati e avvocati e per trovare le soluzioni migliori».

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