La Nuova Sardegna

Salto generazionale e web, la sfida dei giornali

di Antonello Sechi
Salto generazionale e web, la sfida dei giornali

A Cagliari si è discusso di come adattare le imprese all’era digitale per conquistare i più giovani

11 novembre 2018
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INVIATO A CAGLIARI. Gli editori, i giornalisti, coloro che lavorano nell’informazione sono alle prese in tutto il pianeta con un problema colossale: adattare le loro imprese all’era digitale garantendo la qualità di ciò che si offre ai lettori e conti economici in ordine. Per il settore è una questione di vita o di morte: a differenza di quanto sostiene certa politica, i giornali non vivono di contributi pubblici. Vivono grazie ai lettori che acquistano i giornali e alla pubblicità. Dunque bisogna conquistare gli uni e gli altri.

Edizioni digitali, siti web, presenza sui social network, video e tanto altro: non siamo rimasti fermi. Dal New York Times ai giornali cartacei nazionali, ai quotidiani locali: da anni l’informazione cerca i lettori anche nella comunità digitale, un universo in continuo cambiamento. Lì è più facile incontrare i cittadini più giovani, dai millennial alla cosiddetta generazione Z, i ragazzi nati intorno al 2000. E bisogna parlare la loro lingua.

È un lavoro di ricerca, sempre in evoluzione, che venerdì ha registrato una nuova tappa a Cagliari, al Planetario dell’Unione Sarda, dove si è tenuta una giornata formativa promossa dalla Fieg (Federazione italiana editori giornali) nell’ambito dell’accordo strategico con Google.

Giornalisti e dirigenti dell’Unione Sarda, della Nuova Sardegna, di Videolina, Rai e altre testate isolane, si sono confrontati con gli esperti dell’Innovation school di Talent Garden, la piattaforma dei talenti digitali che partendo dall’Italia ha esteso la sua proposta in tutta Europa e vuole sbarcare nella Silicon Valley. Presenti tra gli altri il direttore dell’Unione, Emanuele Dessì, che ha introdotto i lavori, e il direttore generale della Nuova, Antonello Esposito.

Semplicità, personalizzazione, trasparenza, feedback, ovvero la possibilità di interagire subito con l’utente: le caratteristiche dell’economia digitale, alla base del successo delle grandi società della rete (da Amazon a Netflix ecc.), secondo Matteo Sola, formatore di Talent Garden, sono alcuni degli elementi che dovranno caratterizzare sempre di più anche l’editoria nella transizione dalla carta e dall’analogico al digitale. E dovranno farlo - ed è questo il problema numero uno da risolvere - trovando un modello di business che permetta alle aziende editoriali di fare informazione di qualità mantenendo i i bilanci in salute, condizione necessaria per garantirne l’autonomia da potentati economici e politici. Un argomento approfondito anche con Ugo Donelli, che ha guidato l’ideazione di progetti di evoluzione delle aziende editoriali poi esaminati da una giuria.

Con Alessandro Chessa, cagliaritano, amministratore delegato di Linkalab, si è discusso dei “big data” accumulati dai giganti del web (Google, Twitter, Facebook ecc.), sterminati archivi dove finisce ogni nostro “Mi piace”, azione su internet o anche un semplice spostamento per strada, visto che gli smartphone di cui non possiamo fare a meno registrano ogni nostra azione e inviano i dati ai server del motore di ricerca o del nostro social network preferito. Archivi che, se da un lato fanno paura (dentro, ormai, c’è minuto per minuto la vita di ciascuno di noi), dall’altro – ha spiegato Chessa – sono una miniera anche per il giornalista, una fonte dalla quale ricavare in anticipo notizie e tendenze sui fenomeni che stanno avvenendo nella nostra società.

Il progetto Fieg-Google-Talent Garden si concluderà con un evento finale a Milano, nella sede della società cui è stata affidata la formazione. In quella occasione verranno analizzati e premiati i progetti migliori scelti tra quelli prodotti nel tour che ha coinvolto centinaia di giornalisti in tutta l’Italia. Con la speranza che emerga davvero un modello di impresa editoriale capace di parlare al pubblico dell’era digitale e di autosostenersi economicamente.

Un interesse che è degli editori e dei giornalisti, certo, ma che riguarda tutti i cittadini: quelle che oggi si chiamano fake news - ben più veloci e pervasive di quelle che una volta si liquidavano come balle o bufale - con l’uso scientifico che ne fanno governi e partiti autoritari sono diventate un gravissimo pericolo. L’informazione professionale e pluralista ha i suoi difetti ma resta un pilastro fondamentale democrazia.

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