La Nuova Sardegna

Simona, bomber di Sassari: «Il calcio è la mia passione»

di Roberto Muretto
Simona, bomber di Sassari: «Il calcio è la mia passione»

La 36enne ha giocato e vinto con Milan e Torres. Ora indossa la maglia del Torino. «La mia avventura è cominciata all’oratorio del Latte Dolce. Giocavo coi maschi»

19 novembre 2018
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SASSARI. Un papà (Luciano, portiere dilettante) calciofilo a 360 gradi. Voleva un maschio a cui trasmettere la sua smisurata passione per il pallone. E' nata Simona ma questo non lo ha fatto desistere. Sin da quando ha mosso i primi passi la bomber sassarese ha visto le partite in televisione, ha sentito suo padre parlare sempre e solo di gol, rigori, fuorigioco e arbitri. Come un ritornello che ti entra nella testa e ti contagia. «Ancora oggi l’argomento principale tra me e lui è il calcio», racconta. Simona Sodini, oggi 36 anni, madre di un bambino di due, ha segnato la bellezza di 249 gol in serie A. «In realtà sono molti di più - spiega - perché non ho tenuto il conto di quelli realizzati in B, C e nelle giovanili». È ancora in attività, indossa attualmente la maglia del Torino (serie B), città dove vive insieme al compagno Rosario Amendola, vice di Antonio Cabrini quando l'ex campione del mondo guidava la nazionale femminile, ora scopritore di talenti.

Gli inizi. Papà Luciano introduce subito Simona negli ambienti calcistici. Se la porta dietro alle partite che lei segue con tanta curiosità. Vede suo padre volare da un palo all'altro e resta ammirata. Comincia ad appassionarsi, fa tante domande, vuole saperne di più di un mondo che in quel periodo era quasi una proprietà privata degli uomini. «A cinque anni giocavo con i maschietti all'oratorio salesiano del Latte Dolce - racconta -. Lì è cominciata la mia avventura, con le amichette che si vergognavano di me. Allora una ragazza che faceva la calciatrice era qualcosa di strano, veniva giudicata male. Soliti pregiudizi che per fortuna oggi sono stati superati, anche se qualcuno ancora ti fa domande del tipo: ma si gioca in undici? Il pallone è lo stesso? Il campo è più piccolo? Cose che un po' mi danno fastidio».

La svolta. «Avevo sette anni, giocavo al centro storico, in via Delle Rose perché abitavo a due passi da quella strada - racconta Simona -. Mario Silvetti (ex tecnico della Torres femminile ndr) passeggiava con la moglie, mi ha visto e ha subito voluto sapere chi ero. Ha parlato con papà, suggerendogli di iscrivermi in un oratorio o nelle giovanili della Torres. Mio padre ha seguito il consiglio, ma ha fatto una “furbata”, iscrivendomi col nome Simone. Avevo i capelli lunghi e biondi, era facile scambiarmi per un maschietto. Infatti per un po’ tutti hanno pensato che lo fossi davvero. Quando l’allenatore mi chiamava io non mi giravo mai. A mio padre dicevo: perché mi chiamano Simone? Lui mi rispondeva così: non ti preoccupare, pensa solo a giocare. Il motivo l’ho capito solo dopo».

La verità. Se Luciano (di professione cineoperatore) voleva fortemente che sua figlia Simona diventasse una calciatrice famosa, mamma Vanna (lavora in tribunale Sassari) era contraria. Ha provato ad opporsi in tutti i modi, alla fine si è arresa. «Ricordo che mi avrà bucato almeno una ventina di palloni - racconta ridendo -. Giocavo in casa e ogni tanto rompevo qualcosa. Mi diceva di smetterla, che sarei diventato un maschiaccio. Voleva che giocassi con le bambole, come facevano tutte le bambine della mia età. Io piangevo, mio padre, di nascosto mi diceva: tranquilla, continuerai a giocare. Un giorno mamma era talmente arrabbiata che mi ha fatto andare all'allenamento con le scarpe con i fiorellini. Quella volta hanno scoperto che ero una bambina ma non è successo niente. Una risata e ho continuato a giocare come prima senza problemi».

L'esordio. I primi gol ufficiali li ha segnati nel campionato Pulcini. «Il Latte Dolce aveva messo su una squadra tutta femminile. Ci chiamavano le bambine terribili - ricorda la bomber del Toro -, vincevamo sempre contro i maschietti e io segnavo in ogni partita. La società era affiliata al Parma e durante un provino gli osservatori della società emiliana dissero ai nostri tecnici: vogliamo prendere quel biondino con i capelli lunghi. Quando hanno saputo che ero una ragazzina sono rimasti senza parole e in un primo momento non ci hanno creduto e hanno insistito».

Le vittorie. Simona ha esordito in serie A a soli 14 anni con l’Attilia Nuoro. Col Milan ha vinto lo scudetto e la Supercoppa italiana, ha giocato anche con la Torres, il Foroni Verona, Oristano, Torino e Juventus. «Posso dire di essermi tolta tante soddisfazioni - spiega -. Il calcio mi ha dato tanto e mi ha fatto maturare in fretta. Quando sono andata via di casa ero piccola e la mamma non era così convinta. Ha cercato di farmi cambiare idea. Voleva tenermi con lei. Ci ha pensato mio padre a tranquillizzarla e alla fine sono partita. Devo dire che col tempo mamma è diventata un'accanita tifosa. Vivendo lontano, mi telefonava tutti i giorni, voleva sapere tutto, soprattutto chi frequentavo. Una sorta di terzo grado, questo un po' mi dava fastidio. Ora che sono diventata mamma anche io capisco le sue ansie».

Il futuro. Simona ha il calcio nel suo Dna. Una passione che ha fatto diventare una professione e spera che lo resti anche quando smetterà di giocare. «Non so quando finirà la mia carriera - conclude -. Dipenderà da come mi sento fisicamente. Se mi dovessi accorgere che non riesco più a fare certe cose sul campo, sarei la prima a dire basta». Simona Farà con il piccolo Thomas quello che suo padre Luciano a fatto con Lei? «No. Lo lascerò libero di scegliere. I tempi sono cambiati. I genitori possono dare consigli, poi i figli fanno quello che vogliono»

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