La Nuova Sardegna

Gli antipopulisti discutono di un’altra Sardegna

di Serena Lullia
Gli antipopulisti discutono di un’altra Sardegna

A Olbia intellettuali, sindaci e attivisti. Sedda: «Amareggiato per quello che accade in queste ore»

23 novembre 2018
3 MINUTI DI LETTURA





OLBIA. Lontano dagli slogan, dalla politica che urla alla pancia dribblando il cervello. A poche centinaia di metri dalla convention dei leghisti di Sardegna, nell’incontro al Civico 33 si prova a fare una discussione di contenuti. Un incontro che prova a raccontare un’altra Sardegna. Che parla di una cultura isolana che va oltre la banalità del dire: sono sardo. Che smette di seguire e inseguire salvatori della nazione e costruisce un progetto alternativo. Il salotto di riflessione non ha riferimenti partitici ma l’area è di centrosinistra. Ci sono i sindaci galluresi, sindacati, cittadini. Non ci sono selfie, dirette Facebook, tweet e derive populiste. Nessuno insulta nessuno. Davanti a un caminetto accesso si fanno riflessioni senza like. Che non significa essere fuori dal tempo. Ma prendersi il tempo per tenere accesi i neuroni oltre agli smartphone. Che rivendicano la loro esistenza con squilli e beep di notifiche. Il punto di partenza della riflessione arriva dall’antropologo Bachisio Bandinu e dal suo studio su 6mila studenti sardi. Iperconnessi, poco sinceri nelle domande dirette, ingenuamente veri nei quesiti con tranello di cui nemmeno si accorgono. La loro necessità, quasi dipendenza di usare la rete per informarsi diventa fondamentale per diffondere cultura. Che sia sostanza e non forma. Che li aiuti a elaborare un’azione più che un pensiero. A costruire progetti di cui siano protagonisti. In cui esercitino la soggettività evitando di affidare ad altri questo ruolo. Un concetto che viene ripreso anche da Franciscu Sedda, segretario del Partito dei sardi. «Non mi spavento di quello che è accaduto in queste ore – afferma con implicito riferimento al bagno di folla sardoleghista –. Una storia che si ripete e che dà ragione della mia posizione e della sfida che mi pongo di cambiare il gioco in Sardegna. Abbiamo dimenticato il pienone di Di Maio di un anno e mezzo fa a Orgosolo? Che è poi lo stesso che fece Renzi a Cagliari e ancora prima Berlusconi. La verità è che noi sardi vogliamo qualcuno che arrivi da fuori per salvarci. Perché per primi non crediamo di poterci salvare da soli». Ed ecco secondo Sedda il successo del guerriero padano a cui una parte di sardi affida la sua liberazione. «Il primo che arriva in Sardegna con un minimo di carisma, che però non parla la nostra lingua, non ha i nostri stessi valori, non conosce nulla della nostra isola, fa incetta di voti, attenzioni, energie e speranze. Diventiamo così partigiani di una guerra che ci passa sopra. Basata su questioni italiane in cui la Sardegna perde sempre. Crediamo di essere furbi noi sardi. Di aver rinunciato alla libertà per uscire dalla miseria. Non so dove stia la convenienza se poi i nostri soldi non rientrano mai». E poi il messaggio politico forte. «Per unirsi, per stare insieme, serve un motivo. Facciamo che sia la nazione sarda . Basta con la resistenza a oltranza. Slegata da un progetto, da una idea di esistenza, significa condannarsi a dipendere dal proprio carnefice. Se questo progetto non c’è, perché mai dovrei prendermela con chi vota Salvini?».

In Primo Piano
Sanità

Ospedali, Nuoro è al collasso e da Cagliari arriva lo stop ai pazienti

di Kety Sanna
Le nostre iniziative