La Nuova Sardegna

IL CORAGGIO DI CHI DEVE DIRE NO

di DANIELA SCANO

Ci vuole coraggio e sprezzo del pericolo, perché c’è sempre il rischio di esposti, di inchieste, di dispetti, di maldicenze perfide. E di attentati. Nei piccoli centri, il sindaco è l’ultimo...

11 dicembre 2018
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Ci vuole coraggio e sprezzo del pericolo, perché c’è sempre il rischio di esposti, di inchieste, di dispetti, di maldicenze perfide. E di attentati. Nei piccoli centri, il sindaco è l’ultimo avamposto dello Stato. L’uomo o la donna con la fascia tricolore sono i rappresentanti di un governo centrale e regionale che alimentano le aspettative dei cittadini con il vento della propaganda, ma che quasi mai riescono a soddisfarle. Un sindaco capisce la differenza tra elettore e cittadino al momento di dire il primo no di una lunga serie.Il rapporto tra un sindaco e la sua gente è il mercurio del termometro sociale che segna spesso febbre alta.

Ci vuole coraggio per prendersi la responsabilità del diniego, a Esporlatu come in uno dei tanti piccoli centri sardi falcidiati dallo spopolamento. Nei grandi comuni ci sono i dirigenti degli uffici che danno le risposte sgradite. Nei piccoli centri, invece, è il sindaco l’unico rappresentante dello Stato che, in un tempo di annunci contagiosi e di politica fatta sui social, deve prendersi la responsabilità dire di «no». No ai contratti di lavoro nei cantieri comunali, perché non ci sono soldi; no ai sussidi alle famiglie in difficoltà, perché non ci sono soldi; no ai progetti da affidare alle imprese del paese, perché non ci sono soldi e perché la legge non consente favoritismi.

Deve essere davvero difficile, in un momento storico in cui i ministri li puoi chiamare per nome e taggare nei social come se fossero ex compagni di scuola, recuperare dal primo gradino della scala degli enti locali l’autorevolezza di un no. E magari dirlo a tuo cugino, al marito della tua migliore amica, al collega. Gente che ha contribuito a eleggerti e che ha festeggiato come se aveste insieme conquistato il tetto del mondo. E tu sei uno che quando è stato eletto ha pronunciato la frase d’ordinanza «sarò il sindaco di tutti» senza ancora conoscerne il vero significato: sarò il sindaco che scontenterà molti, forse tutti.

Generare delusione e malcontento è ancora più complicato quando lo Stato arretra e chiude i suoi presìdi: la caserma dei carabinieri, la farmacia, l’ufficio postale, la scuola. A quel punto resta solo il sindaco ed è a lui, a tutte le ore del giorno e della notte, che la gente si rivolge per avere risposte. Ecco perché il mestiere di amministratore in un piccolo paese è difficile, anche se non ti mettono le bombe sotto casa o non ti bruciano l’automobile. Ecco forse perché la crisi delle candidature è più forte nei piccoli centri che nei grandi. Non è certo un caso che dei cinque comuni ancora commissariati in Sardegna il più grande, Sarule, abbia 1.697 abitanti e gli altri siano poco più grandi di un condominio di città.

Solo il commissario prefettizio lavora serenamente nei piccoli paesi, dove i cittadini lo considerano un funzionario dello Stato che può dire “no”. Contrariamente al sindaco che invece quel “no” non vorrebbe mai pronunciarlo, ma è costretto a farlo. E troppo spesso è lasciato solo a fronteggiare la rabbia, la delusione e talvolta la violenza dei suoi cittadini.

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