La Nuova Sardegna

Beppe Pisanu: «Le autonomie al Nord portano alla secessione»

di Alessandro Pirina
Beppe Pisanu: «Le autonomie al Nord portano alla secessione»

L’ex ministro dell’Interno: «È il disegno della Lega, spaccheranno in due il Paese. Salvini abbia più rispetto per il suo ruolo. Latte: governo scorretto con Pigliaru»

19 febbraio 2019
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SASSARI. Salvini è a solo qualche centinaio di metri da lui, ma la distanza politica tra i due è incolmabile. Storia, formazione, stile: non c’è nulla che accomuni Beppe Pisanu all’attuale titolare del Viminale. E lui, l’ex ministro, seduto nel suo studio tra il busto di Aldo Moro, gli scatti con Wojtyla e Ratzinger e una foto di Cossiga, non fa nulla per nasconderlo. Ma non solo Salvini. Pisanu parla di tutto, dalle elezioni alle porte alla vertenza latte, dal rischio secessione al centrodestra ostaggio del sovranismo anti Ue.

Senatore, la Sardegna va al voto: che idea si è fatto della campagna elettorale?
«La seguo con una certa attenzione e non avendo partiti di riferimento con sereno distacco. Ascolto soprattutto i candidati e le candidate al consiglio regionale e alla presidenza. Ma non sempre ho sentito voci convincenti e degne di nota. In generale ho la sensazione che la politica nostrana stia oscillando come si diceva una volta, tra “regionalismo chiuso” e “cosmopolitismo di maniera” senza trovare una strada sulla quale incamminare la questione sarda e andare incontro al futuro. Eppure una strada, anzi una via maestra, c’è: ed è quella che ci porta agli Stati uniti d’Europa. Una meta di enorme portata storica se pensiamo che già oggi, con le risorse attuali, l’Europa veramente unita sarebbe una delle più grandi potenze economiche e politiche del mondo. E lì ci sarebbe spazio e futuro per la nostra isola».

In quale modo?
«Di solito vediamo la Sardegna come baricentro e crocevia del Mediterraneo ma questa è soltanto geografia. Nella realtà geopolitica noi siamo invece un avamposto della sponda mediterranea dell’Europa. Ed è da questa posizione che dobbiamo giocare le nostre carte con idee e proposte che stiano veramente nella pelle della storia. Per questo sogno e auspico una Sardegna più italiana e più europea».

Perché oggi l’Europa è percepita come il nemico?
«Questo sentimento nasce dalla crisi generale, dalla globalizzazione e dalla paura del futuro. Non riuscendo ad affrontarlo, secondo quello che ci suggeriscono le forze della scienza e della economia, ci rifuggiamo nei vecchi nazionalismi che proprio in Europa hanno prodotto due guerre mondiali e milioni di morti».

Che ne pensa della lista europeista proposta da Calenda?
«Merita attenzione. Penso che valga la pena sostenerla».

Il governo è pronto a concedere più autonomia a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ci sono pericoli per il Mezzogiorno e la Sardegna?
«Chi conosce il concreto funzionamento dei poteri politico-amministrativi non fatica a capire che un meccanismo di questo genere amplierebbe il divario già grande tra il nord e il sud, fino a spaccare in due il Paese: da una parte il centronord ben ingranato con l’Europa più prospera, dall’altra il sud e le isole alla deriva verso le coste dell’Africa e del Medio Oriente. Questa sarebbe esattamente la secessione lungamente perseguita dalla Lega Nord. I presidenti di Lombardia e Veneto, entrambi leghisti, stanno portando avanti questo disegno con innegabile coerenza. Altri purtroppo si stanno accodando, magari con proposte più blande sia da sinistra che da destra».

In Sardegna l’autonomia speciale non ha dato i risultati sperati: ha ancora senso?
«Onestamente dovremmo prima chiederci se abbiamo adoperato al meglio i poteri che lo statuto speciale ci ha messo a disposizione. E se la società sarda abbia assecondato gli impulsi che dallo statuto venivano. Le sorti di una comunità dipendono sempre dalla fecondità del rapporto tra società e istituzioni».

Guerra del latte: si troverà una soluzione?
«La pastorizia è ormai una ferita aperta nel corpo vivo dell’economia sarda. Il latte versato sulle strade è sangue di pastori. Giunta e governo stanno cercando di fermare l’emorragia. Ma il problema è ricucire la ferita. Per farlo servono l’ago e il filo dei pubblici poteri. Fuor di metafora, occorre riconnettere l’intero comparto dalla produzione alla trasformazione industriale, alla commercializzazione dei prodotti. Senza più affidarsi alla forza bruta del mercato. Com’è noto il mercato lasciato a sé lavora soltanto per sé stesso, premiando i forti e punendo i deboli. E i pastori ne sanno qualcosa».

La Regione ha dovuto alzare la voce per farsi invitare al tavolo del latte.
«Non mi sembra che il governo su sia comportato correttamente con la Regione. Sarà pure vero che in campagna elettorale ogni scherzo vale, ma c’è un limite a tutto. Non vorrei che la smania elettorale inducesse qualcuno a metterci una pezza a colori e poi finita la festa gabbato lo santo».

Il suo giudizio su Pigliaru.
«Mi sembra un uomo preparato e trasparente che ha governato nel mezzo di una gravissima crisi economica e sociale e senza il sostegno di una maggioranza coesa e collaborativa. Penso che meriti rispetto».

Che ne pensa di Salvini che per le elezioni si è quasi trasferito in Sardegna?
«Ma cosa vuole che le dica? Atterra in Sardegna, risolve i problemi, parla e promette di tutto. A me ricorda un celebre comiziante degli anni ’50. Una sera a a Macomer un buontempone gli gridò: “vogliamo il mare”. E lui imperterrito tendendo il braccio verso la piazza: “cittadini di Macomer, lo avrete”».

Salvini svolge il ruolo di ministro in modo irrituale: felpe, divise e un interventismo a tutto campo, Sanremo compreso. Da ex titolare del Viminale che opinione si è fatto?
«Penso che il ministro dell’Interno debba stare il più possibile al di sopra delle parti. E delle forze dell’ordine che deve governare e mettere al servizio della sicurezza di tutti i cittadini».

Berlusconi e Salvini ormai parlano due lingue diverse, ma in Sardegna restano alleati.
«Berlusconi è un combattente irriducibile e mi auguro di cuore che riesca ad arginare la Lega Nord. Altrimenti il centrodestra finirà inevitabilmente nel pantano del sovranismo illiberale e dell’europeismo senz’anima di Visegrad. E, nel caso, per Berlusconi ci sarebbe una sola alternativa: o scappare o finire affogato in quel pantano».

Il Psd’Az ha fatto la scelta di allearsi con la Lega.
«Mi rattrista perché in fondo siamo stati tutti un po’ sardisti. Ho vivo il ricordo di una crisi regionale nel corso della quale Paolo Dettori si rifiutò di formare la giunta perché ne veniva escluso il Psd’Az. Ci spiegò che per certi aspetti quel partito era patrimonio morale e politico di tutti i sardi. E in quanto tale andava onorato».

Come nel ’92 la risposta alla crisi dei partiti sono i sindaci?
«Li vedo come une realtà positiva, ascoltandoli ho l’impressione che i Comuni siano ormai tra i pochi luoghi privilegiati per la selezione e la formazione delle nuovi classi dirigenti. I candidati sindaci mi hanno impressionato quasi tutti positivamente per la serietà e la competenza.

Domenica per chi voterà?
«Come le ho detto, sono senza partito e quindi sceglierò tra le persone oneste e competenti che sono in lizza. Di certo so per chi non voterei mai. Non mi chieda altro. “Codesto solo oggi possiamo dirti. Ciò che non siamo ciò che non vogliamo” (da Ossi di seppia di Eugenio Montale, ndr)».

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