La Nuova Sardegna

Sassari

Il generale Manca: così nacque “Dimonios”

di Nicolò Manca
Il generale Manca: così nacque “Dimonios”

«Era il 1994 e la Brigata ancora non aveva un inno. Tentai con un concorso tra i sassarini, poi un amico mi suggerì: prova a sentire il capitano Sechi...»

08 gennaio 2013
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Sono grato al professor Tola perché nella rubrica “La Sardegna libro per libro” – pagina 25 della Nuova del 31 dicembre scorso – mi ha attribuito due paternità. La prima, scontata, di essere l'autore di “L'antica maledizione” edito nei giorni scorsi dall'Iris di Oliena, e la seconda di essere l'artefice dell'inno “Dimonios”. Poiché questa seconda paternità, per me solo spirituale, è stata millantata da più parti (è noto che i successi hanno molti padri, a differenza degli insuccessi che sono sempre orfani), ritengo necessario stilare l'atto di nascita di “Dimonios”, con l'auspicio che La Nuova pubblichi questo documento.

L’idea. Per la verità l'idea di redigere quest'atto mi era già venuta un 2 di giugno di qualche anno fa, in occasione di una diretta televisiva dell'annuale parata militare in via dei Fori Imperiali, quando sentii lo speaker militare affiancato al telecronista Rai annunciare «Vediamo ora inquadrata la banda della gloriosa Brigata Sassari. Sento le note di quell'inno “Dimonios” che io da bambino ascoltavo con emozione echeggiare nelle nostre valli». Poiché quello speaker era un colonnello degli alpini, come era possibile che da bambino, all'incirca negli anni '70, avesse sentito un inno nato nel 1995? Per fare luce su quegli improbabili ricordi, il giorno dopo rintracciai telefonicamente lo speaker dello Stato Maggiore dell'Esercito: «Lampu colonnello, ostrega per capirci, mi sa che lei ha confuso il sardo “Dimonios” con qualche canto alpino veneto-friulano». E giusto per fugare ogni confusione continuai redigendo, ma solo verbalmente, il seguente atto di nascita di Dimonios.

Atto di nascita. «Sul finire del 1994, completato il mio primo anno di comando della Sassari, della quale avevo scoperto essere il primo comandante sardo, mi accorsi che la brigata non aveva un “suo” inno. Non lo erano né “Deus salvet su re” né il famoso “non de cherimos de continentales pro che leare su trinceramentu”. Deciso a colmare il vuoto, diramai ai reggimenti una circolare, invitando i sassarini a proporre il proponibile. Il vincitore di quel concorso sarebbe stato premiato con 100mila lire (non euro!) e una licenza di 15 giorni. Pervennero al comando brigata una decina di lavori traboccanti buona volontà ma, a giudizio di chi sapeva di musica più di me, di modesto spessore musicale. In tale situazione di stallo, Antonio Angius, capo ufficio personale del comando brigata, caro amico oltre che prezioso collaboratore, mi suggerì: “Comandante, perché non provi a sentire Luciano Sechi, il capitano di Macomer? So che si intende di musica e che dirige un coro”. Detto fatto convocai Sechi e, come vado raccontando da anni, minacciai di stroncargli la carriera se non avesse partorito l'inno che volevo. Dopo due settimane trascorse a caccia di note tra le corde della sua vecchia chitarra e sulla pianola della figlia Laura, alla vigilia del Natale del '94 Sechi mi propose due strofe ed un ritornello che mi entrarono nel cuore: era nato “Dimonios”. Seguì da parte mia un tentativo di cambiare alcune parole del testo perché, essendo io di Ortueri e Sechi di Magomadas, . avrei voluto imporre un po' della parlata del mio paese. Sechi mi fece capire che la metrica e la musica non erano pane per i miei denti: “Lei comandi la brigata che all'inno ci penso io”. Fu così che nel gennaio del '95 feci stampare 3000 cartoncini pieghevoli di color zafferano che distribuii ai reggimenti, disponendo che, con la collaborazione della banda della brigata, composta da validissimi musicisti diretti dal maresciallo Atzeni, “Dimonios” fosse imparato e cantato in ogni occasione».

Due fotografie. Tra le mie carte conservo il primo di quei 3000 pieghevoli sul quale avevo voluto fossero riportate due fotografie della Brigata Sassari nella Grande Guerra e della Divisione Sassari nella seconda Guerra Mondiale. Sotto quelle due foto le parole dell'inno e una mia annotazione: «Buona fortuna a Dimonios, dal primo comandante sardo della Sassari». Nel 1996, quando avevo già lasciato la brigata, mi resi conto che nel corso delle cerimonie le due strofe di “Dimonios” avevano una durata modesta rispetto agli altri brani militari; da questa constatazione e dopo un nuovo contatto col capitano Sechi, nacquero in quell'anno la terza e la quarta strofa dell'inno. In seguito sentii ancora Luciano Sechi ma solo per convincerlo a iscriversi alla Siae, per arginare il proliferare di presunti padri della sua creatura; svariate decine di cori e di complessi musicali si erano infatti “impossessati” di “Dimonios”, elaborando arrangiamenti e svilendolo con discutibili interpretazioni. Lentamente “Dimonios” si diffuse anche al di fuori della brigata, nonostante il mio successore, forse perché non sardo, non lo sentisse in simbiosi col proprio dna. A recuperare il tempo perduto pensò tuttavia il successore del mio successore, il generale Carta, sardo di Domusnovas.

Gratitudine. Per arrivare ai giorni nostri, nel Natale del 2011, ad Herat, un grande sassarino, Andrea Alciator, mi fece uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto: una riproduzione del pieghevole stampato nel gennaio del '95. Alciator vi aveva annotato sopra: «Grazie di essere venuto in terra afghana a trovare i suoi della Sassari». Ciò detto chiunque può immaginare cosa abbia provato nel corso della telecronaca della sfilata del 2 giugno scorso quando, nel silenzio generale (in segno di lutto per il terremoto in Emilia) delle bande e delle fanfare che si susseguivano in via dei Fori Imperiali, solo la banda della Sassari suonò, per volere del Capo dello Stato, l'inno “Dimonios”. Mi sembrò un modo simbolico di onorare le parole pronunciate alla Camera da Vittorio Emanuele Orlando, presidente del Consiglio, il 16 giugno 1918: «L'Italia ha contratto un grande debito di gratitudine verso la nobile isola».

Commozione. Noi militari restiamo sorpresi dalla nostra incapacità di trattenere talvolta la commozione, anche se indossiamo la divisa e se siamo davanti ai nostri uomini. Ma quando la divisa è stata dismessa e si è soli, la commozione ha carta bianca e può rivelarsi per un uomo un'appagante scintilla di felicità.

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