La Nuova Sardegna

Sassari

Il sindaco: «Così ho salvato 20 milioni»

di Daniela Scano
Il sindaco: «Così ho salvato 20 milioni»

Campus universitario, il primo cittadino dice la sua e attacca l’Ersu. «L’ente non ha mai condiviso le scelte con la città»

23 gennaio 2016
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SASSARI. Si sente quello che ha messo al sicuro venti milioni di euro, annuncia che ne otterrà altri venti, afferma di essere riuscito a mettere intorno a un tavolo i protagonisti della intricata vicenda. Il sindaco Nicola Sanna dice la sua sui venti milioni regionali persi per il campus universitario e indica nel presidente dell’Ersu, Gianni Poggiu, il responsabile dei ritardi maturati in cinque anni.

Racconti com’è andata.

«Nel 2014, appena sono diventato sindaco, ho assunto la responsabilità di gestire questa vicenda. All’epoca l’unico atto politico era stata la votazione del consiglio comunale su una mozione presentata nel 2012 dal consigliere Sergio Scavio, che chiedeva di prendere una posizione chiara sulla procedura avviata dall’Ersu nel 2011. Il Comune non aveva ancora ricevuto nessuna richiesta ufficiale da parte dell’ente dopo il finanziamento del Cipe.

I famosi 20 milioni?

«Sì, venti milioni condizionati al cofinanziamento di altri 20 da parte della Regione. La procedura prevedeva che il campus potesse essere realizzato ex novo, oppure diffuso nei territori per la loro riqualificazione. L’Ersu scelse di farlo fuori dalla città, in un luogo da urbanizzare. La nostra amministrazione invece ha sempre puntato al recupero di aree pubbliche».

L’Ente regionale per il diritto allo studio fece questa scelta da solo?

«Sì, senza condividerla con la città. Ricordo che il mio predecessore Gianfranco Ganau si lamentava del fatto il presidente Poggiu non si fosse rapportato con l’amministrazione».

Se fosse stato consultato, il Comune cosa avrebbe scelto?

«La scelta era stata fatta anni prima con la pianificazione strategica. Una delle possibilità per ripopolare il centro storico erano gli studenti universitari e le residenze diffuse. L’idea del campus c’era fin dal 2009, con la giunta Soru, ma con la logica di recuperare edifici e terreni pubblici. Gianni Poggiu, arrivato alla presidenza dell’Ersu indicato dalla giunta di centro destra, invece decise di realizzarlo in immobili o su terreni di privati».

Si riferisce ai Mulini Azzena?

«La prima ipotesi fu quella del campus in quell’area. La mozione di Scavio nacque così. Il consiglio comunale stabilì che quella collocazione non era idonea perché in una zona troppo distante dal centro. Questa fu la prima presa di posizione politica, anche se non c’era ancora una richiesta formale di variante».

Come è possibile?

«L’Ersu è partito dal principio: io mi cerco l’area, non importa con quale destinazione urbanistica, poi chiederò al Comune di approvarmi la variante. Questo modo di procedere però è scorretto, perché la variante viene approvata anche in funzione di una esigenza di pubblico interesse che è rappresentato dall’opera e dal contesto nel quale va a insediarsi. L’Ersu inveve prima ha scelto il committente e poi ha chiamato il Comune a decidere. Non so perché è andato per conto suo: questa è la grande domanda di tutta questa storia del Campus».

Non è strano che un ente che deve gestire una popolazione studentesca così numerosa non condivida una scelta così importante con il Comune?

«È così strano e anacronistico che io in campagna elettorale ho chiesto che l’Ersu venisse abolito e che le sue competenze siano trasferite al Comune che ospitano le università».

Arriviamo così al 2015. Caduta l’ipotesi dei Mulini Azzena, l’Ersu individua l’area area di Piandanna.

«Nel Puc, l’area individuata dall’Ersu a Piandanna aveva una destinazione sanitaria. Lo strumento urbanistico non prevedeva che in quella zona sorgessero residenze studentesche e questo avrebbe dovuto far riflettere la dirigenza dell’Ersu».

C’era sempre lo strumento della variante.

«Fino a luglio del 2015, l’Ersu e i proprietari del terreno non ci hanno mai formalmente chiesto nulla. A prescindere dalla volontà politica, comunque, non c’era più il tempo per fare nulla. Il direttore generale del Comune lo ha spiegato al direttore generale dell’Ersu Maria Assunta Serra che lo ha contattato per conoscere i tempi di approvazione di una variante e se la pratica poteva essere chiusa prima del 31 dicembre 2015. Il direttore ha risposto che quel terreno aveva una destinazione urbanistica chiara e non idonea a diventare residenzialità studentesca. Per quanto riguarda i tempi tecnici, solo per la variante ci volevano sei mesi. E poi c’era la concessione edilizia, l’approvazione del progetto, l’appalto».

Ed esisteva la scadenza 31 dicembre.

«Esisteva ed era definitiva. Il 31 dicembre del 2013 e il 31 dicembre del 2014 il Cipe aveva decurtato il finanziamento e sei milioni erano già stati persi. Il 31 dicembre 2015 si sarebbero persi i 20 milioni di Cipe e i 20 milioni della Regione ad esso collegati. Tanto è vero che in Regione c’è stata una riunione per parlare di questo rischio».

E cosa è successo?

«Mi sono attivato per evitare di perdere tutto il finanziamento. Ci siamo seduti intorno a un tavolo: Comune, Ersu e Università. La strada era molto in salita, ma c’era l’Università che aveva il terreno di San Lorenzo con la destinazione giusta e un progetto definitivo, già proposto all’Ersu. Questo era il documento utile per garantire la spendita dei fondi per tornare al Cipe. In più Ersu aveva il progetto di recupero della Fondazione Brigata Sassari che era andato per le lunghe e mancavano 4 milioni per l’aggiornamento prezzi».

Ma se vi foste confrontati prima, oggi in città ci sarebbe un campus da 40 milioni...

«Esatto. Infatti io mi pregio di avere messo le persone a ragionare intorno al tavolo, anche se io e Poggiu eravamo in completo dissenso rispetto alla soluzione».

Avete litigato?

«No, discusso. Lui era ancora convinto del progetto sul campus fuori porta e lo sarebbe ancora oggi. Alla fine si è arreso, più per i motivi tecnici credo, ma anche perché di fronte alla evidenza dei fatti si è reso conto che aveva perso tempo».

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