La Nuova Sardegna

Sassari

Delitto Loi, in appello 14 anni alla donna che uccise il marito

di Nadia Cossu
Delitto Loi, in appello 14 anni alla donna che uccise il marito

Ieri il verdetto di secondo grado: «La Orrù colpì il marito con l’intenzione di ucciderlo». La difesa: «Andremo in Cassazione»

16 febbraio 2016
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SASSARI. Accecata dalla gelosia, in preda a uno scatto incontrollabile di rabbia dopo aver sentito il cellulare del marito suonare, esasperata da una situazione sentimentale nella quale dava tanto e in cambio riceveva forse troppo poco. O addirittura nulla. Queste sono solo ipotesi – almeno fino a quando non saranno depositate le motivazioni della sentenza – ma di certo, secondo i giudici della corte d’appello di Sassari, Marina Gavina Orrù il 17 luglio del 2013 usò quel coltello per colpire e uccidere il marito Mario Loi. Omicidio volontario, dunque. Che tradotto significa 14 anni di reclusione. Lacrime e silenzi hanno accolto la lettura della sentenza nell’aula del palazzo di via Budapest.

La sentenza di secondo grado. Il verdetto del collegio presieduto da Plinia Azzena è arrivato poco dopo mezzogiorno. Ribaltando la sentenza di primo grado che condannava la Orrù a otto anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, ieri i giudici della corte d’appello accolgliendo la tesi del sostituto procuratore Carlo Scalas e degli avvocati di parte civile Giorgio Murino e Bastianino Ventura, secondo i quali si trattò di omicidio volontario, hanno inflitto alla donna una condanna a 14 anni.

La storia e la tesi dell’accusa. Scrupolosa la ricostruzione fatta dal sostituto procuratore Carlo Scalas di quel pomeriggio del 17 luglio 2013 quando Mario Loi, 53 anni, autista di ambulanze per l’associazione di soccorso Sant’Anna, muore accoltellato nella sua casa di via Caniga. A finire in carcere, con l’accusa di omicidio volontario, è sua moglie Marina Gavina Orrù, di 49 anni. La donna ha sempre sostenuto che fosse stato un incidente. Che il marito le sarebbe caduto addosso mentre lei, piegata per raccogliere il cellulare di lui caduto a terra, impugnava il coltello che doveva usare per tagliare l’anguria. Scalas, durante il processo di primo grado (ma gli stessi concetti li ha ribaditi in appello) aveva elencato una serie di elementi che avrebbero portato a ritenere con certezza che l’imputata avesse colpito il marito con il fendente. Aveva parlato della conclamata crisi matrimoniale tra i due: «La figlia Monica ha raccontato che i genitori bisticciavano ad alta voce. Non dormivano più insieme, Loi aveva anche da poco tolto la fede dal dito. La vittima avrebbe anche detto di rimanere a casa controvoglia solo per l’interesse dei figli». Contestava, il pm, anche la ricostruzione della modalità di accoltellamento fatta dalla Orrù, rilevando tra le altre cose «l’assenza di tracce di sangue nella parte posteriore della giacca indossata dalla signora». E poi c’era quella frase che avrebbe detto alla figlia appena dopo la tragedia: «Vedrai che quando torna a casa (l’imputata era convinta che il marito sopravvivesse ndc) non me lo perdonerà mai». Il che presupponeva per l’accusa l’intenzionalità del gesto.

Consulenze e perizie. Il consulente di parte Francesco Paribello, incaricato dagli avvocati difensori Agostinangelo Marras e Letizia Doppiu Anfossi, nella ricostruzione delle fasi drammatiche dell’accoltellamento aveva detto che era verosimile che la Orrù fosse piegata in avanti – mentre teneva il coltello tra le mani – nel tentativo di raccogliere da terra il telefono del marito e che quest’ultimo si fosse piegato a sua volta su di lei per impedirle di prendere il cellulare. Durante questa fase concitata il coltello avrebbe colpito Mario Loi. Di diverso avviso Francesco Serra, consulente del pm Scalas, secondo cui la profondità della lesione (10 centimetri) avrebbe avvalorato invece la tesi dell’accoltellamento volontario che avrebbe poi provocato lo choc emorragico, causa della morte.

La difesa. «La Orrù ha sempre reso una versione costante dell’accaduto – hanno detto i legali Marras e Doppiu Anfossi annunciando il ricorso per Cassazione – Lei stava davanti e lui dietro e le tracce di sangue sulla parte posteriore della manica destra sono una ulteriore dimostrazione del fatto che la coltellata inferta non poteva avere un volontario intento omicida. Attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza poi faremo i nostri passi».

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