La Nuova Sardegna

Sassari

Migranti, la città è come una bomba a orologeria

di Luigi Soriga
Migranti, la città è come una bomba a orologeria

Il Comune è allarmato per l’intolleranza: a breve un vertice in Prefettura Si parla di racket delle elemosine, guerra tra poveri e aumento dei senzatetto

03 maggio 2016
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SASSARI. C’è una tensione sociale che si taglia a fette. L’arrivo di nuove ondate di migranti stanno mettendo a dura prova le capacità di accoglienza e integrazione della città. Questo cortocircuito l’hanno percepito anche le istituzioni e il Comune ha intenzione di convocare a breve un tavolo tecnico con Prefettura e Questura.

Ci sono una serie di situazioni da mettere a fuoco: innanzitutto un monitoraggio dei centri di accoglienza. Le difficoltà di coabitazione tra diverse etnie. Poi un censimento dei nuovi arrivi. Dopodiché un presunto racket delle elemosine. Quindi i problemi di convivenza tra gli extracomunitari residenti e i nuovi ingressi. E il razzismo e la xenofobia che ormai serpeggia tra molti sassaresi.

Xenofobia. Partiamo proprio da questo ultimo aspetto. Innanzitutto c’è un fastidio che si affaccia nel quotidiano chiacchiericcio della gente, esasperata per l’accattonaggio in ogni angolo della città. Poi questa insofferenza di fondo talvolta sfocia in violenza: rifugi incendiati come in via XXV aprile e via Bellini.
«Proprio in occasione di quegli episodi – racconta Pier Paolo Pintus dei Guardian Angels – durante il nostro intervento in zona stazione, i residenti ci hanno insultato e minacciato. Ce l’avevano con noi perché stavamo dando coperte e indumenti a un gruppo di senzatetto. Così non se ne andranno mai, urlava la gente. È anche colpa vostra. Dovete smetterla di aiutarli. La gente non riesce a capire perché, se vogliono andar via, li dobbiamo obbligare a restare qua con la forza. Questa è l'osservazione che ci fanno più spesso, assieme all'invito ad aiutare solo gli italiani e non i neri per costringerli ad andar via. Il fatto poi che ai rifugiati si dia una diaria, che per loro ci siano un letto e un piatto di pasta o un vestito, cosa che agli italiani non è concessa, è l'innesco di una bomba che sta per esplodere. Questo lo percepiamo nettamente da un paio di settimane a questa parte».

Racket elemosina. Sembrava una semplice leggenda, ma ora la voce si fa sempre più insistente. “A Sassari c’è un racket dell’elemosina con una vera e propria spartizione del territorio”. Il Comune stesso sta cercando di verificare l’attendibilità delle segnalazioni. Dice l’assessore ai Servizi sociali Monica Spanedda: «Finora non abbiamo trovato riscontri oggettivi e non si capisce chi possa gestire questa sorta di presunto caporalato». Il sospetto nasce anche dal fatto che talvolta i migranti vengono caricati su un furgone, poi “distribuiti” nei luoghi dell’accattonaggio e infine recuperati a fine serata. Molti cittadini, in questo posizionamento capillare dell’elemosina, ci vedono la mano occulta di un’organizzazione.

Facebook. I social, si sa, esasperano i sentimenti e riescono a tirare fuori il peggio delle persone. Per questo il razzismo attecchisce come una gramigna su Facebook. Uno dei recentissimi post di un gruppo di Sassari è illuminante. Un ragazzo si lamenta perché quattro giorni fa qualcuno ha rotto il vetro della sua auto e ha rubato una sacca della palestra e due berrettini. E non ha dubbi nel puntare il dito contro il presunto responsabile: “Dal tipo di refurtiva non possono che essere quei "poveri" ragazzi di colore che a noi fanno pena e quindi li facciamo l'elemosina”. E lì giù con secchiate di intolleranza: “Tagliamogli le mani”, “rimandiamoli a casa”, “morti di fame rubano anche dagli stenditoi”. Ma questo è solo uno delle centinaia di esempi di xenofobia da tastiera che i social sbrodolano ogni giorno.

Guerra tra poveri. L’allarme scatta quando anche l’insofferenza si insinua anche tra gli extracomunitari già integrati in città. Soprattutto i senegalesi, che per cultura bandiscono ogni forma di elemosina, mal digeriscono questa nuova “concorrenza” che loro giudicano sleale. Dicono: noi non abbiamo mai chiesto alcuna forma di assistenza. Non abbiamo mai allungato una mano ai semafori. I cittadini fanno di tutta l’erba un fascio e chi ci rimette siamo anche noi ambulanti.

Emergenza abitativa. La schiera dei senzatetto, con l’afflusso dei migranti, si sta rimpolpando di settimana in settimana. Non vogliono stare relegati nei centri di accoglienza, e spesso non vogliono vivere nè a Sassari, nè in Sardegna, e tantomeno in Italia. Quindi molti scappano dai centri e si sparpagliano per la città. Dormono in giacigli occasionali, e monitorare gli spostamenti e censire i rifugi è impossibile. Sicuramente trovano un tetto in via XXV aprile, o nella tipografia Poddighe di Predda Niedda nord, o ancora in alcuni locali attigui del Vialetto. Ma altri dormono all’aperto, addirittura nei giardini. «L’emergenza abitativa – dice l’assessore Spanedda – ormai non è più legata alla stagione fredda. Stiamo pensando all’eventualità di poter riaprire la struttura di accoglienza di via Duca degli Abruzzi. Ora cercheremo delle risorse».

Intanto Daniel, 27 anni, nigeriano, da quando ha chiuso la struttura ha ripreso a dormire sotto un cespuglio nei giardini di via Rockefeller. Gli fanno compagnia i topi, l’umidità, la pioggia e la febbre.

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