La Nuova Sardegna

Sassari

Il corpo di Stefano: la codardia di chi sa e non parla

di Daniela Scano

Qualcuno potrebbe sapere e restituire dignità al trentenne di Nule esaudendo l’ultimo desiderio, sul letto di morte, della una madre che è stata  terza vittima di questa atroce storia di violenza e di degrado morale

29 maggio 2016
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Quando una madre muore, dopo avere perduto un figlio, è impossibile non collegare il male che l’ha consumata al suo dolore sconfinato e innaturale. Il lutto inespresso per l’assenza del suo Stefano aveva logorato Carmela che, per resistere alla sua tortura quotidiana, aveva trasformato il tormento della mancanza di risposte nella incrollabile certezza che il ragazzo sarebbe tornato a casa e che lo avrebbe rivisto, in un modo o nell’altro. Non è accaduto.

Nel suo ultimo viaggio, compiuto nello stesso giorno in cui finivano in carcere i presunti giovanissimi responsabili dell’omicidio, la madre di Stefano Masala è stata accompagnata dalla comunità di Nule e idealmente da tutti i sardi. Adesso l’attesa del “ritorno a casa” continua per il padre, per i fratelli, per gli amici di Stefano. La sua assenza è una ferita aperta che non si rimarginerà fino a quando, come sua madre ha implorato sul letto di morte, Stefano tornerà tra chi lo ha amato.

I cari e gli amici del trentenne di Nule si trovano nel limbo dell’attesa senza fine, lo stesso desolante luogo del lutto negato ai familiari del soldati partiti per il fronte e mai più tornati, neppure come “spoglie nelle bandiere legate strette perché sembrassero intere”.

Il giovane di Nule chiede giustizia, reclama la dignità del ritorno e dell’onore che sempre i vinti meritano. Ancora di più e a maggior ragione se sono vittime innocenti. Il corpo di Stefano merita pietà e rispetto. Se qualcuno sa dove si trova, e non parla, si è messo fuori dalla comunità civile di cui sostiene di far parte. Se un amico ha intuito qualcosa, e non dice nulla, si rende complice. Se una madre si rende conto, e non fa qualcosa, non può autoassolversi considerandosi una madre che protegge il suo “cucciolo”. Anche Stefano era un figlio, il figlio di Carmela, amava la pace e coltivava con animo semplice e ingenuo valori che forse lo hanno ucciso: l’amicizia, soprattutto.

Il corpo di Stefano giace chissà dove da più di un anno. È ragionevole pensare che qualcuno, oltre i suoi assassini, potrebbe sapere o sospettare dove si trovi quel “dove”. Quella persona potrebbe restituire dignità a Stefano e pace ai suoi cari, esaudendo così l’ultimo desiderio, che ormai era anche l’unico, di una madre che la malattia ha fatto diventare la terza vittima di questa terrificante storia di violenza e di degrado morale e sociale.

Stefano Masala deve ritornare a casa ed essere onorato con una cerimonia funebre che veda intorno a lui, ai suoi familiari, una comunità finalmente libera dalla paura di essere coinvolta.

Ci sono tanti modi per rivelare un segreto senza esporsi, mantenendo l’anonimato. Però bisogna farlo perché questa famiglia ha sofferto troppo. Onorare la memoria di un innocente consentendo che riposi, finalmente ricomposto, accanto a sua madre morta di dolore, non è un atto di coraggio ma un dovere morale.

L’alternativa è la codardia che si può nascondere in pubblico, ma che non lascia scampo davanti allo specchio. Per tutti i giorni che restano.

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