La Nuova Sardegna

Sassari

Calvia chiederà la revisione del processo

di Nadia Cossu
Calvia chiederà la revisione del processo

Dopo la conferma della condanna a 24 anni da parte della Cassazione, la sorella annuncia: è innocente, non ci fermiamo

11 luglio 2016
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ALGHERO. Così sicure dell’innocenza del proprio fratello da dirsi pronte a chiedere la revisione del processo. Giovanna e Francesca Calvia, all’indomani della sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna a 24 anni per Alessandro Calvia – accusato di aver strangolato e ucciso l’insegnante di Alghero Orsola Serra il 23 ottobre del 2011 – annunciano la decisione: «Non ci fermiamo. Nostro fratello non ha ammazzato Orsola. Vogliamo verità e giustizia per entrambi».

E così, una volta che saranno depositate le motivazioni, le sorelle dell’imputato (che per il ricorso in Cassazione si erano affidate all’avvocato Claudio Salvagni, difensore di Massimo Bossetti) presenteranno richiesta di revisione. Sulla base di prove che, a loro dire, non sarebbero state “portate” nei precedenti gradi di giudizio. «Ci siamo affidate a un biologo – rivela Giovanna – che ha in mano degli elementi molto interessanti. Dobbiamo pazientare qualche mese per le motivazioni e poi faremo i nostri passi».

Giovanna Calvia parla di un fratello «amorevole che mai avrebbe potuto ammazzare Orsola. Lei si voleva sposare con lui, era innamorata. Alessandro non le avrebbe mai fatto del male, è innocente e ci sono molti dettagli rilevanti che finora nei processi non sono emersi». E per questo le due donne ritengono di dover andare avanti nella loro battaglia.

Replica poi, Giovanna Calvia, alle dichiarazioni di Ettore Serra, padre dell’insegnante, che dopo la sentenza della Cassazione si è detto soddisfatto «perché, dopo tante calunnie, finalmente giustizia è stata fatta». «Quali calunnie? – risponde oggi la sorella dell’imputato – Vorrei ricordare che mio fratello è stato assolto in Appello da quell’accusa». In primo grado, Alessandro Calvia era stato infatti condannato a due anni di reclusione per una calunnia scritta su un pezzo di carta inviato ai magistrati della Procura generale di Cagliari: «A uccidere Orsola Serra – aveva scritto nel 2012 in una missiva – sono stati i carabinieri, insieme al padre» (della vittima). In Appello si era giustificato sostenendo di essere sotto l’effetto di farmaci quando scrisse la lettera. La stessa Procura diede a quelle parole il reale significato che avevano: un delirio.

Ora ciò che per loro più conta è «riportare nostro fratello a casa. Ha reagito molto male quando gli ho comunicato la conferma della condanna – racconta Giovanna – Ho chiesto un colloquio in carcere e appena mi ha visto mi ha detto subito: “È andata male, vero?”. Gli ho detto che deve stare tranquillo perché non abbiamo alcuna intenzione di fermarci qui».

Le sentenze di condanna precedenti hanno ruotato intorno a quello che dal primo momento è apparso come un elemento chiave della tesi accusatoria: il dna presente nella corda che stringeva il collo dell’insegnante, trovata senza vita dal padre nella sua camera da letto, apparteneva ad Alessandro Calvia. Il procuratore generale nella sua requisitoria aveva sostenuto con forza che le tracce in quel punto esatto della corda dimostravano che la stessa era stata utilizzata in un certo modo da chi uccise Orsola, una dinamica che non ammetteva quindi dubbi sul fatto che l’imputato fosse colpevole.

Ma l’avvocato di parte civile Pietro Piras aveva evidenziato anche un’altra serie di elementi, a partire dalle contraddizioni intorno all’alibi dell’uomo.

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