La Nuova Sardegna

Sassari

Latte Dolce, lo sport come orgoglio e collante contro il disagio

Latte Dolce, lo sport come orgoglio e collante contro il disagio

Il vicepresidente Sanna: «Una squadra in serie D, un forte settore giovanile». La chiusura del Servizio per le dipendenze ha fatto calare la criminalità

12 marzo 2017
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SASSARI. «Andiamo all’oratorio ma i palloni non bastano mai, ne vorremmo di più per giocare nel campetto, anzi, a dire la verità, vorremmo un altro campo di calcio per noi ragazzi», Salvatore, Michael e Riccardo hanno dodici anni, ma sono quello che si dice bambini svegli. Il calcio è l’anima sportiva di Latte Dolce. E il quartiere può vantare, nonostante le rimostranze dei piccoli calciatori, una quantità di impianti sportivi, compresa la piscina comunale, che ha contribuito anche a svolgere un ruolo determinante nella crescita sociale e allontanato da pericolose derive verso il disagio e la tossicodipendenza. Chiuso il Sert, il servizio di via Bottego che ai tempi della diffusione massiccia delle droghe portava a Latte Dolce disperati provenienti da tutta la provincia, gli abitanti hanno visto diminuire gli episodi di microcriminalità che la droga si porta inevitabilmente con sé. Proprio per il palazzo di via Bottego è in corso un progetto di recupero.

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Lo sport, insomma, è motivo di orgoglio, con una squadra che ha visto il popoloso rione identificarsi con essa. «Siamo i più forti nel settore giovanile in Sardegna» dice, non senza orgoglio, il vicepresidente Gianni Sanna che è alla guida della società con il presidente Alessio Marras, dopo essere stato a sua volta presidente per 19 anni. «E posso dire che il quartiere è cresciuto con la società calcistica, che qui aveva il suo vivaio, anche se ora i tempi sono cambiati e giocano con noi ragazzi di tutta l’isola», riflette Sanna. «Purtroppo, il nostro campo non è idoneo al campionato, tanto che la nostra squadra maggiore deve disputare le partite al “Vanni Sanna”. Speriamo di riuscire ad ottenere dal Comune una ristrutturazione per svolgere qui la nostra attività agonistica».

Lo sport come momento di aggregazione, perché un calcio al pallone forse aiuta anche a dimenticare i problemi quotidiani. «Anche qui povertà e disoccupazione non mancano – dice il parroco don Giovanni Lubinu –: assistiamo un centinaio di famiglie anche se non tutti quelli che hanno bisogno ci chiedono aiuto». E sport anche come momento di integrazione. Al Pime sono ospitati rifugiati che ogni giorno si allenano sul campo del Latte Dolce Calcio.

«Qua si vive bene – afferma Gian Piero Cavaglieri, titolare in via Caboto della tabaccheria edicola, quest’ultima l’unica del quartiere –. La gente è buona e generosa, chi è povero ha dignità. Chi come ci ha abitato sin da bambino, vede che le difficoltà o le necessità sono quelle di tutta la città». «Io ci lavoro da tre anni – dice il bancario Giuseppe Ginesu – e ho trovato una bella realtà. Tanto che ci ritorno anche nel tempo libero». «Forse in passato c’è stato troppo assistenzialismo verso gli abitanti e questo ha portato qualcuno a non integrarsi, perciò dovremmo incentivare cultura e sport», conclude Natale Canu, impiegato di Punto Città. (p.f.)

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