La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari, fiamme all’ingresso di Casa Somalia

di Luigi Soriga
Sassari, fiamme all’ingresso di Casa Somalia

I migranti domenica notte si sono svegliati per il forte odore di fumo: qualcuno aveva incendiato una busta di immondizia

03 maggio 2017
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SASSARI. Il fumo pian piano si è insinuato negli interstizi del portoncino ed è entrato nello stanzone. Sono quasi le 23 di domenica e i quindici rifugiati di Casa Somalia dormono nei loro letti a castello. Qualcuno sente il forte odore di bruciato e si sveglia di soprassalto: accende la luce, cerca di capire cosa fosse andato a fuoco. Poi sente il crepitio accanto al portoncino, lo spalanca e vede le fiamme. È un bustone di immondizia che brucia, depositato da qualcuno sull’uscio di via Carducci, davanti a quei locali attigui alla chiesa del Cuore Immacolato che il parroco Don Sau ha messo a disposizione dei migranti. Non è un attentato incendiario di chissà quali proporzioni, ma è un gesto che fa paura. I ragazzi aprono le finestre, poi scappano nel cortile, avvisano il prete e chiamano al cellulare i loro amici dell’associazione. Sono disorientati e molto preoccupati. Dice Abdì, uno dei ragazzi più intraprendenti, che tutti chiamano affettuosamente il boss: «Perché ci fanno queste cattiverie? Qual’è il senso? Che fastidio stiamo dando? Perché ce l’hanno contro di noi?».

Domande alle quali i loro santi protettori di Casa Somalia, che poi nella vita fanno gli insegnanti, gli impiegati, le mamme, i precari, i disoccupati, rispondono con una spruzzata di edulcorante e un pizzico di sale: «Molto probabilmente si tratta di una bravata, qualche ubriaco che non sapeva come passare il tempo o qualche ragazzino stupido. Ma in ogni caso è meglio non abbassare la guardia». Della serie: l’imbellicità non sempre fa rima con razzismo e xenofobie, e le due cose potrebbero non essere collegate. Ma allo stesso tempo state in campana: perché è facilissimo che vadano a braccetto. E in questo caso, anche un piccolo atto intimidatorio, quando hai pochi strumenti per difenderti, può ferire davvero.

D’altronde non è l’unica aggressione che i rifugiati hanno subito. Qualche mese fa un uomo e una donna avevano fatto irruzione con un bastone, spaccato un vetro e rubato uno smartphone. Ed erano andati via con la minaccia: «E questo è solo l’inizio». Ma anche questo episodio era stato liquidato dentro i confini della stupidità, senza attribuirgli peso. Ora però il discorso cambia, perché i segnali cominciano a diventare pesanti. Gli sguardi da parte degli abitanti del quartiere di Monte Rosello spesso non sono così amichevoli. L’insofferenza si percepisce. Ed è un peccato, perché chiunque abbia avuto occasione di conoscere e parlare con questi quindici ragazzi, ne è rimasto colpito e gli ha aperto il cuore.

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