La Nuova Sardegna

Sassari

Gli eroi antifascisti e i silenzi di Siniscola

di Marina Moncelsi *
Dino Giacobbe
Dino Giacobbe

INTERVENTO - La proposta: una targa nella spiaggia di Santa Lucia, da dove nel 1937 Dino Giacobbe partì per la Francia con l’aiuto di due pescatori. Nessuna risposta dal Comune

23 agosto 2017
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Ottanta anni fa, il 2 settembre 1937, un uomo che da tempo subiva le persecuzioni del regime fascista decise di lasciare l’Italia per la Francia; da lì avrebbe raggiunto la Spagna, per partecipare alla resistenza repubblicana. Espatriare non sarebbe stato possibile se non con l’aiuto di un mezzo che permettesse di lasciare l’isola. Dino Giacobbe (è di lui che si parla: antifascista e tra i fondatori del Partito Sardo, assieme a Camillo Bellieni e Emilio Lussu) prese il largo dalla piccola baia di Santa Lucia, a Siniscola, per raggiungere poi la Corsica, Marsiglia e infine la Spagna. Qui si unì alle Brigate Internazionali e legò il suo nome alle vicende di Giustizia e Libertà. Di Giacobbe si conosce già abbastanza, e se non bastasse il bellissimo libro “Lettere d’amore e di guerra” a firma della figlia Simonetta, un attento esame della corposa documentazione a suo nome nell’Archivio di Stato nuorese, ci darebbe l’immagine a tutto tondo di un uomo mai in ginocchio.

Ma è sulla sua partenza che oggi vorrei soffermarmi. Dino Giacobbe partì, come si è detto, dalla spiaggia di Santa Lucia chiamata “dei pescatori”. E pescatori erano coloro che lo aiutarono nella rischiosa impresa: Francesco e Domenico Ogno, padre e figlio. Amici di vecchia data della famiglia Giacobbe, non esitarono ad aiutarlo con il loro peschereccio con il quale si guadagnavano la vita e sfamavano la numerosa famiglia. La barca, non adatta a lunghi percorsi in mare, sarebbe servita per trasportarlo al largo dove lo attendeva un peschereccio più grosso che lo avrebbe trasferito in Corsica.

Solo a quel punto l’ingegner Dino Giacobbe, già più volte arrestato dalla polizia fascista così come anche la moglie Graziella Sechi (che però rimase a Nuoro con i loro quattro bambini) avrebbe potuto sentirsi al sicuro. Le vicende degli anni di guerra ci raccontano che in realtà non fu così: la partecipazione alla Resistenza antifranchista nelle Brigate Internazionali, la prigionia, la fuga dal treno che lo conduceva verso il campo di concentramento, un nuovo espatrio oltreoceano (Giacobbe rimase in Usa fino al suo rientro nel 1945). Dagli Stati Uniti, Giacobbe inviò una lettera ad Emilio Lussu, lettera che fu intercettata dal controspionaggio e che fu all’origine dell’arresto di alcuni amici antifascisti: l’avvocato Salvatore Mannironi, il veterinario Ennio Delogu, la maestra orunese Margherita Sanna; anche i due Ogno finirono tra le maglie della polizia fascista, e restarono in carcere subendo duri interrogatori oltre all’incertezza della loro sorte.

È volontà dell’Istasac (Istituto per la storia dell’antifascismo e dell’età contemporanea nella Sardegna centrale, associato all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia) ricordare proprio a Santa Lucia, in occasione degli 80 anni dalla vicenda, la figura di Dino Giacobbe e contemporaneamente ridare dignità storica a quanti lo aiutarono pagandone personalmente lo scotto. A tal scopo ha pensato alla collocazione di una targa o lapide che ricordasse Giacobbe, e l’iniziativa avrebbe visto la partecipazione della figlia Maria, nota scrittrice che da anni trascorre alcune settimane estive in Sardegna e che si era dichiarata disponibile a stenderne il testo.

L’Istituto ha presentato richiesta al Comune di Siniscola affinché individuasse nella spiaggia di Santa Lucia “un punto visibile per la sistemazione della targa, nonché quanto necessario per la sua collocazione”. La richiesta, a cui è seguita una conversazione esplicativa tra la presidente e l’assessore alla Cultura Paola Fadda (sempre su iniziativa dell’Istasac), è stata reiterata altre due volte per iscritto sia all’assessore che al sindaco Farris, senza aver mai ricevuto risposta. Possibile che l’amministrazione siniscolese abbia paura della parola “antifascismo” al punto da non dare alcun cenno di risposta alle lettere del 18 marzo, del 9 maggio e del 27 maggio? Temiamo proprio di sì.

Ma ciò che fa più paura, forse, è semplicemente il ricordare gente di coraggio.

* Presidente Istasac



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