La Nuova Sardegna

Sassari

La morte annunciata di Noemi forse ha più di un colpevole

Eugenia Tognotti
Noemi Durini
Noemi Durini

L’OPINIONE - Nessuno è intervenuto dopo le denunce della madre. Necessario mettere in campo figure professionali ad hoc

18 settembre 2017
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C’è di che restare senza fiato davanti all’immagine, trasmessa in Tv, delle scarpe da tennis che sbucano da un cumulo di pietre sotto le quali si trova il corpo straziato di una sedicenne, uccisa forse a sassate, secondo modalità arcaiche, o con arma di punta e taglio. E sì che all’ormai quotidiana dose di violenza, ordinaria e straordinaria, ai danni di donne-madri, donne-ragazze, donne-quasi bambine, dovremmo aver fatto quasi l’abitudine, così come al canovaccio delle storie di femminicidio, che a giorni alterni, dicono le statistiche, tingono di rosso le cronache dei quotidiani, gridate in prima pagina quando sono particolarmente crudeli o spettacolari. Peraltro, quello di Noemi non è, a rigore, neppure un femminicidio, per usare malvolentieri un termine improprio che ha messo radici nel linguaggio comune. Il delitto della ‘pazzerella’ - come la chiamava sua madre - che aveva riposto fantasie amorose e desideri in un quasi coetaneo, indicato dai giornali con l’incongruo termine di ‘fidanzatino’, col viso ipocritamente coperto e le iniziali al posto del nome - è qualcosa di più e di diverso. È un allarme rosso che segnala le inefficienze e le disfunzioni istituzionali, la deriva di una società che fugge alle proprie responsabilità, che non comprende il pericolo, ignora e non fa fronte alle violenze, ai soprusi e alle aggressioni, divenute parte della vita quotidiana.

Mai l’atrocità, la brutalità, l’orrore hanno avuto tanta pervasità. Mai un delitto aveva reso così evidenti la ‘colpa’ collettiva, delle istituzioni, della famiglia, della scuola. E poche volte tutto è diventato sconciamente televisivo, tra voyeurismo ed esibizionismo, come è avvenuto nel delitto della vicina Avetrana, nello stesso Salento della ricerca antropologica di Ernesto De Martino. Come allora, tutto è passato in Tv, dal momento del ritrovamento del corpo dell’adolescente scomparsa, alle scomposte, furibonde reazioni dei genitori del ‘fidanzatino’, messi al corrente, in diretta, del ritrovamento del corpo da un’inviata di ‘Chi l’ha visto’; agli insulti e ai tentativi di aggressione, incrociati, di genitori e parenti; all’accanirsi in atti distruttivi di un’automobile da parte dell’assassino, fino all’arresto e alla confessione. E, infine, al tentativo di linciaggio, davanti alla caserma, dove si erano radunati in tanti, spinti, come sempre avviene nelle folle che si radunano minacciose, da quella ‘funesta docilità’, per dirla col Manzoni, che induce taluni ad unirsi al manifestare ‘appassionato di molti’.

Della morte annunciata di questa ragazza sentiremo parlare a lungo. Assisteremo a teleprocessi infiniti, ad accuse incrociate delle due famiglie, alla violazione della privacy e alla messa a nudo della vita di questi ‘Capuleti e Montecchi ‘ salentini, impegnati nella brutale lacerazione di uno dei due protagonisti, senza distinguere tra assassino e vittima. Ma, intanto, qualcuno dovrebbe cominciare a rispondere alle tante domande che aspettano risposta: chi avrebbe dovuto prendere provvedimenti, con urgenza, dopo le denunce alla Procura dei minori di Lecce e ai servizi sociali da parte della madre della ragazza, allarmata per i comportamenti di un ragazzo borderline che aveva avuto tre Tso ( rattamenti sanitari obbligatori) in un anno? Perché nessun provvedimento cautelare ha fatto seguito alle indagini? Perché non si è pensato neppure ad un semplice divieto di avvicinamento a Noemi per quel ragazzo violento, di cui tutti conoscevano l’aggressività e la prepotenza? Com’è che poteva circolare in macchina, a 17 anni, privo della patente di guida, senza che nessuno lo fermasse e lo sanzionasse? Questa storia ci dice, semmai ce ne fosse bisogno, che non servono gli ispettori mandati dal ministro della Giustizia quando tutto è finito. Quando il corpo senza vita di una ragazza si trova in un Istituto di Medicina legale e viene ‘interrogato’ dai medici che devono ricostruire, su quello che resta, la verità della morte e le possibili complicità. Occorre prevenire. Lavorare per impedire la smagliatura della rete famiglia - aggregazioni sociali - scuola; formare docenti preparati a spiegare la grammatica dei sentimenti e ad affrontare le fragilità degli adolescenti.

Verificata l’incapacità e il ritardo delle istituzioni a far rapidamente fronte alle denunce, che rischiano, peraltro, in qualche caso, di alimentare comportamenti violenti, occorrerebbe, per neutralizzare la frammentazione di competenze, mettere in campo una figura professionale ad hoc a cui affidare le singole storie a cui dà forma ogni mano maschile levata su una donna.

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