La Nuova Sardegna

Sassari

Madre in fuga dal marito violento

di Paoletta Farina
Madre in fuga dal marito violento

Torna nell’isola con i figli per non dover convivere sotto lo stesso tetto del compagno: «Minacciata di morte e insultata»

20 settembre 2017
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SASSARI. La sua è una storia tristemente simile a quella di tante donne. È già il poterla raccontare è una fortuna. Perché la storia della protagonista è ancora una volta la dimostrazione di come le istituzioni continuano a lasciare le donne in ostaggio della violenza del marito, a costringerle a vivere nel terrore che accada qualcosa di irreparabile a loro stesse e ai loro figli. Ci si chiede perché, dopo anni di dibattiti, prese di posizione, denunce allarmate dell’opinione pubblica, una donna che abbia a che fare con un marito violento si ritrovi inerme e sola ad escogitare soluzioni per uscire da situazioni da incubo.

È quello che ha fatto anche lei, giovane madre di due figli, per sfuggire a minacce di morte, un tentativo di strangolamento, volgari insulti quotidiani, urla. Tutto davanti agli occhi spauriti dei bambini che ora temono il padre e hanno incubi notturni. E così è scappata insieme con loro dal Piemonte, ed è ritornata in Sardegna, dove è nata e dove sta cercando di ricostruirsi una vita lontano da possibili pericoli. Ma a un prezzo salato. Ha già violato un ordine del giudice perché i suoi figli non stanno frequentando la scuola, potrebbe avere ulteriori guai giudiziari. Ma è un rischio che ha deciso di correre «perché prima di tutto viene il bene dei miei bambini. Io intanto mi sento vittima di un’ingiustizia dopo aver vissuto l’inferno: sembra che quello che racconto non abbia alcun valore, non mi sento tutelata nella necessità che ho di proteggere me e i figli. Come è possibile tutto questo? Ora capisco il motivo di tanti femminicidi. A cosa serve denunciare le violenze, e io l’ho fatto in più occasioni, se poi si rimane inascoltate? ».

Lei non ha scelto la strada del silenzio nè della sottomissione. Ha deciso che con quel marito violento, di cui aveva scoperto una seconda e insospettabile vita e che la trattava come una serva, non voleva più vivere. E perciò ha chiesto la separazione coniugale. Ed ecco che sono emerse le incongruenze di un sistema legislativo e giudiziario nel quale il principio di condanna della violenza contro le donne viene tradito nella prassi quotidiana. «Il presidente del tribunale della città piemontese, fallito il tentativo di accordo consensuale sulla separazione, ha emesso un provvedimento in cui però non si pronunciava sull’assegnazione della casa in cui vivevamo – racconta la donna –. Quindi io dovevo continuare a stare sotto lo stesso tetto di mio marito con il quale la convivenza era diventata impossibile. Nel ricorso per la separazione giudiziale si spiegavano i motivi per cui mi ero decisa a questo passo: mio marito mi minacciava di morte, mi umiliava e feriva con insulti e con la frequentazione di altre donne, non partecipava alla vita familiare e non si interessava ai figli, era spesso assente e tornava a casa a tarda notte giustificandosi con la necessità di essere presente ad appuntamenti di lavoro. Come se non bastasse ci faceva mancare anche il sostentamento economico: soldi contati per la spesa settimanale, e nessuna attenzione per i bambini che ricevevano doni soprattutto dai miei genitori, più d’una volta intervenuti per aiutarmi a campare».

«Perciò ho informato il tribunale che avrei lasciato la casa coniugale per evitare ulteriori violenze e umiliazioni, l’affidamento esclusivo di miei figli e un contributo economico per me e i miei figli – racconta –. Questo avveniva un anno fa, ho passato mesi da incubo con il terrore che accadesse il peggio e poi l’ultimo scatto di rabbia di mio marito mi ha convinto ad andare via, a tornare dalla mia famiglia che mi ha dato tutto il sostegno morale e materiale di cui avevo bisogno. Ho anche trovato un lavoro però quando si è presentato il problema di iscrivere i miei figli a scuola ecco l’altra tegola: il giudice mi imponeva di farli frequentare in Piemonte, visto che la causa di separazione era ancora in corso, io ho comunque tentato di fare l’iscrizione nella città dove vivo, ma occorre il nullaosta della scuola di provenienza che non lo concede. Mi chiedo ora cosa posso fare per garantire sicurezza a me e ai miei piccoli e a rendere la nostra vita serena. Credo che ne abbiamo tutti diritto».

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