La Nuova Sardegna

Sassari

La rinuncia consapevole a una sanità migliore

Maria Pina Dore *
La rinuncia consapevole a una sanità migliore

Salvare ospedali e reparti in zone scarsamente popolate è sbagliato

27 ottobre 2017
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Il principio che la salute è un «fondamentale diritto dell’individuo», come recita la nostra carta costituzionale è uno dei più citati, anche se non sempre trova concreta e piena applicazione, mentre la possibilità per tutti di accedere alle cure è sulla carta assicurata a tutti. Questa premessa è necessaria per rispondere alle questioni poste dalla riforma sanitaria recentemente approvata, dopo molti contrasti, in Consiglio regionale, con una fisionomia diversa da quella che aveva originariamente. Che cosa è avvenuto? La Regione Sardegna ha cercato di dare corpo al diritto alla salute dei sardi con il piano sanitario regionale nell'ambito dei confini dettati dalla normativa (decreto ministeriale n° 70 del 2 aprile 2015).

Gli sforzi per far comprendere alle popolazioni, e ai loro rappresentanti istituzionali, la “filosofia” del piano ha però incontrato resistenze nei territori, ostacoli campanilistici, orgogli municipali. Così la riforma sanitaria, come ha giustamente osservato Eugenia Tognotti, è stata ampiamente rimaneggiata nell’assemblea del consiglio regionale, rimodulata, ripensata, riadattata per non “cancellare” piccoli ospedali, per “salvare” reparti, aggiungerne di nuovi ecc. Ma, in questo modo, non si è ottenuto l’obiettivo di far fare un salto di qualità alla sanità. Infatti, se, per assurdo, la Regione decidesse di spendere senza limiti per un ospedale in ogni remoto angolo della Sardegna, si garantirebbero meglio e appieno i bisogni di cura dei sardi? La riposta è no. Chi sono, infatti, nel concreto gli erogatori delle cure? I medici, i professionisti con il loro percorso di formazione ed esperienza nel “fare”. Anche il miglior medico del mondo, se non ha al suo attivo un numero di interventi/prestazioni per anno, perde il suo expertise (o bagaglio di conoscenza ed esperienze come diremmo in italiano).

Non possiamo prescindere dai caratteri geo-demografici della Sardegna: con 69 abitanti per kmq e con un totale di un milione 660mila abitanti non potrebbe mai garantire ai medici una vastità e una varietà di esperienza da mettere a disposizione dei pazienti. Anche il miglior chirurgo perde la mano per un certo intervento se il contesto non gli consente di fare più di tre interventi di quel tipo per anno. Una domanda banale: da chi preferirebbe farsi operare alla cistifellea un paziente: dal chirurgo del piccolo ospedale vicino che in un anno effettua 10 interventi o da chi ne effettua 100? Spiace dirlo, ma in definitiva, le comunità e le popolazioni che hanno combattuto il piano sanitario, strappando un reparto in più o un passaggio di livello, hanno purtroppo perso la preziosa occasione di poter contare su una sanità di miglior qualità.

* Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Sassari


 

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