La Nuova Sardegna

Sassari

Nuova legge urbanistica, il caso fascia costiera

Ignazio Camarda *

L'INTERVENTO - Concentrare il dibattito solo sulle coste senza la giusta attenzione alle aree interne, significa perdere di vista una concezione della Sardegna unitaria

02 novembre 2017
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Il dibattito che in questo ultimo periodo si è sviluppato attorno al Ddl Erriu ha visto una forte contrapposizione delle associazioni ambientaliste e la contestazione di diversi articoli della complessa materia urbanistica, per i suoi riflessi su tanti aspetti del territorio, prima di tutto sulla tutela ambientale e sull’impianto generale del piano paesaggistico della Sardegna. Nel 1985, la legge 431, in modo precauzionale, impose per la tutela dei beni culturali e ambientali che nella redazione dei piani sono sottoposti a vincolo paesaggistico le aree alpine al di sopra dei 1600 metri, nella catena apenninica e per le isole le aree al di sopra dei 1200 metri, la distanza di 300 metri dalla riva del mare e laghi, nonché disposizioni per altre categorie di beni culturali e ambientali. La legge, che porta il nome del sottosegretario Galasso, uomo politico e storico di vasta cultura e sensibilità ambientale, è stata un punto fermo, pur nelle successive integrazioni e modifiche di tutta la programmazione paesaggistica in gran parte d’Italia.

A suo tempo ho fatto parte del comitato scientifico per la predisposizione del Ppr, presieduto da Edoardo Salzano, che tra le altre cose ha portato a una definizione condivisa della fascia costiera come bene ambientale unitario, basata su parametri ecologici, integrando e superando il limite anacronistico dei 300 metri. La fascia costiera, come delimitata in cartografia del 2006 del Ppr, non ha una estensione dalla costa uguale per tutti i luoghi, come del resto è ragionevole. Infatti uno stagno, una zona umida, un sistema dunale spesso si estendono ben oltre i 300 m e prescindono da una distanza costante in relazione alle condizioni geo-morfologiche. Una interpretazione letterale vorrebbe dire tagliare netto un sistema ecologico unitario, cosa che evidentemente non sarebbe razionale.

Sulla fascia costiera si trova gran parte degli habitat prioritari ai sensi della normativa europea fatta propria dalla legislazione italiana e condivisa a livello regionale, che sono soggetti a tutela integrale, aree Ramsar, due parchi nazionali, siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale, che richiedono opportuni piani di gestione ad opera del comune o del consorzio dei comuni entro cui ricadono. Non si capisce pertanto cosa voglia significare, una linea di 300 metri nel momento in cui esiste già una delimitazione con forza di legge data dal Ppr della Sardegna.

La fascia costiera è l’area dove si concentra un contingente di biodiversità vegetale e di avifauna endemica o meno tra le più significative della Sardegna e dell’Italia. Da parte di sottosegretari e ministri, che evocano a ogni piè sospinto biodiversità associata a una retorica priva di contenuti sulla bellezza del paesaggio, avrei preferito che finalmente dessero un quadro legislativo per la tutela ambientale che, sia nelle coste e nelle montagne, per avere efficacia fosse basato su termini ecologici e ecosistemici e non solo con un approccio di tipo estetico o esclusivamente emozionale.

Termini, invece, anche temporali, in quanto l’ambiente è in una dinamica continua sia di evoluzione che di conservazione che nulla hanno a che vedere con le contingenze economiche e/o politiche ma hanno un valore e un risvolto strategico di lunga durata. In Sardegna, a parte qualche esempio virtuoso (Tepilora-Monte Albo, Area marina del Sinis, Stagno di Platamona, Molentargius, ma non mancano i problemi) tutto tace. Nell’Isola i due parchi nazionali sono da tempo commissariati, il parco nazionale del Gennargentu non si sa se esista o meno dal punto di vista legale, di certo non esiste un ente di gestione, il Sistema regionale dei parchi non si sa che fine abbia fatto, i Siti di importanza comunitaria in genere sono privi di piani di gestione e le Zone di protezione speciale sembrano esistere solo nella carta. Ma concentrare il dibattito sulla legge urbanistica quasi esclusivamente sulle coste senza la giusta attenzione alle aree interne, con le drammatiche prospettive di spopolamento, significa perdere di vista una concezione dell’ambiente e della Sardegna che deve essere necessariamente unitaria e senza artificiosi limiti né di costa, né di quota.

*università di Sassari

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