La Nuova Sardegna

Sassari

Carasau nello Zingarelli, Postalino nella limba

Luciano Piras
Carasau nello Zingarelli, Postalino nella limba

La vivacità di qualsiasi lingua passa tra contaminazioni e inevitabili influenze reciproche

09 novembre 2017
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NUORO. Ora che il sardissimo lemma “carasau” è ufficialmente un neologismo italiano, a dimostrazione che l’italiano è una lingua aperta e perennemente in evoluzione, è giusto che anche la lingua dei sardi dimostri vivacità e lungimiranza. Magari introducendo nel bocabolariu nostranu qualche parola italiana diventata ormai di uso comune anche tra i sardofoni più incalliti, con buona pace dei puristi di casa nostra che non amano gli innesti forestieri.

Certo: ribattezzare “porta” come parola sarda che ha preso il posto di “janna”, sarebbe un po’ troppo. E non va bene neppure introdurre “cuginu” (cugino) per dire “fradile”, come già si usa fare da tempo. Bisogna comunque stare in allerta, esattamente come succede con l’italiano che deve lottare contro l’abuso quotidiano degli anglicismi che fanno tanto “trend” anziché semplicemente “tendenza”, magari tra un “selfie” e l’altro, quando basterebbe parlare soltanto di “autoscatto”.

Oggi è il mitico e ormai centenario Zingarelli ad aprire le porte tricolori a “carasau” (il pane dell’isola dei centenari, tie’! – pardon: “tie’” è espressione napoletanissima), dopo aver già introdotto, in passato, nell’italiano corrente “launeddas”, “malloreddus” e “cannonau”, su binu nieddu che qualche sardo continua a presentare come vino nero dei sardi quando invece il cannonau è chiaramente un vino rosso o rosato. È la forza della lingua, signori, o meglio: delle lingue, de sas limbas. Contaminate ovunque e in tutti i tempi.

Non c’è nulla di strano, perciò, davanti a slang tipo «mi che è bette grezzo il postalino a Nuoro» che capita spesso di sentire tra i giovanissimi del capoluogo della Barbagia: “bette” è esclamazione tipica della città che ha dato i natali al Nobel per la letteratura Grazia Deledda; “postalino” invece un pullman qualsiasi dell’Atp, l’Azienda dei trasporti pubblici nugoresa che ha la sua sede legale, guarda un po’, al nº 5 di via Eugenio Montale. Ecco: postalino, potrebbe essere la parola giusta da sardizzare. Diminutivo del maschile singolare “postale”, inteso come «autocorriera per trasporto di posta e passeggeri (in molti luoghi usato genericamente come sinonimo di autocorriera)» (citazione testuale dal vocabolario Treccani), potrebbe facilmente diventare “postalinu” con quella “u” finale che sa tanto di sardo vero e genuino.

Del resto, per restare in tema di trasporti, la stragrande maggioranza dei sardi oggi usa il termine “autista” quando invece il vecchio bocabolariu nostranu prevedeva il termine “zafferre”, comunque derivato dal francese “chauffeur”. «Pittica sa Gazosa» dicono dall’Ogliastra in giù.
 

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