La Nuova Sardegna

Sassari

Banari, il borgo dell’arte non vuole spopolarsi

di Gabriella Grimaldi
Banari, il borgo dell’arte non vuole spopolarsi

Gli eventi culturali sono una ricchezza ma si punta sulla microimprenditorialità

12 novembre 2017
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INVIATA A BANARI. Nel 2017 a Banari sono nati sette bambini. Altrimenti il conto delle anime si sarebbe fermato a 570: un saldo comunque negativo, perché nell’incantevole paesino del Meilogu quest’anno sono venuti a mancare una ventina di residenti. E così va avanti da anni. Lo spopolamento è diventata una continua emorragia e tutti gli sforzi delle amministrazioni che si succedono alla guida del borgo sono indirizzate a invertire questa tendenza. Un’operazione tutt’altro che semplice, come testimonia anche l’attuale sindaco, Antonio Carboni, primo cittadino da un anno e mezzo. «Negli ultimi dieci anni il numero dei residenti è calato parecchio - dice - e quindi il nostro impegno come amministratori è quello, da un lato, di tenere alto il livello dell’assistenza sociale per i poveri e per gli anziani, dall’altro stimolare la microimprenditorialità in modo che questo centro diventi di nuovo attrattivo».

Di mattina a Banari è difficile anche incontrare qualcuno per chiedere informazioni. Le case in trachite rosa, gli splendidi balconi fioriti tra un vicolo e l’altro, i panorami mozzafiato che si spalancano all’improvviso svoltando l’angolo sembrano immagini immortalate in una fotografia che non contempla la presenza di esseri umani. A Banari non ci sono più scuole quindi i bambini frequentano a Thiesi, i ragazzi a Ozieri, la banca ha chiuso i battenti qualche tempo fa, l’ufficio postale apre due volte alla settimana con un impiegato, gli anziani (in paese c’è il più alto tasso di ultrasessantacinquenni del territorio) non escono, in tanti lavorano all’Inps e in altri enti a Sassari. Si contano due bar, un ristorante e tre bed&breakfast.

Eppure questo paesino del Meilogu, incastrato fra i territori confinanti di Bessude, Silio e Ittiri, le carte da giocare per risalire dalla china dello spopolamento ce le avrebbe eccome. A cominciare dalla bellezza delle sue architetture, soprattutto di quelle del centro matrice: case di pietra rosa perlopiù risalenti alla fine dell’Ottocento, molte sono dimore che testimoniano di un passato opulento con la presenza di famiglie nobiliari come ad esempio i Solinas, il cui palazzo oggi ospita la biblioteca comunale e spicca sulla omonima piazza dove si affaccia la bella cattedrale di San Lorenzo. Da lì si snoda la passeggiata chiamata Camineras, un camminamento panoramico perfettamente curato che un tempo era di proprietà privata della famiglia Solinas, oggi è del Comune che lo utilizza per “incantare” i visitatori che vengono trasportati attraverso un bosco fuori dal paese, fino a un’antica cappella. Succede quando Banari di mette in ghingheri in occasione degli eventi. Uno di questi è Carrelas in festa in programma per metà dicembre. I componenti del comitato stanno già lavorando alla realizzazione di tutte le opere con cui abbellire gli angoli più suggestivi del paese. Quest’anno il tema è il Medioevo. In quei due giorni vengono messe in mostra le eccellenze locali come i prodotti tipici alimentari, primo fra tutti la famosa e prelibata cipolla, i prodotti dell’artigianato, le sculture in trachite, i lavori in ferro battuto, i vestiti e i ricami tradizionali. Il paese si riempie di visitatori ma finito l’evento si spopola di nuovo. Tanto che sembra lontano il tempo in cui Banari ospitava mostre d’arte di livello internazionale ed era ritrovo di pittori, scultori e anche cantanti d’opera. Oggi il museo di arte contemporanea creato dalla fondazione Logudoro Meilogu è chiuso e difficilmente riaprirà i battenti. Il presidente, il pittore e scultore banarese Giuseppe Carta vive in una casa piena zeppa di opere che colleziona da tutta la vita proprio accanto al museo. «L’ultima edizione di “Fiera d’arte del piccolo formato” è del 2014 - racconta -. Si è trattato di un successo ma la Regione non ha più inteso finanziare eventi nè la Fondazione, e così tra mille difficoltà abbiamo dovuto rinunciare: il sogno pian piano è svanito».

Ma i banaresi non sono persone che si scoraggiano e qualcuno sta già pensando a come ribaltare le carte del destino. Mario Sini è il titolare dell’unico ristorante presente in paese, Sa Casara. «L’idea è quella di far conoscere anche all’esterno - spiega - l’uso dei prodotti tipici. Qui c’è una forte tradizione nella lavorazione della carne (sono famose le salsicce di Banari che però non vengono prodotte in paese, ndc) e soprattutto la cipolla che rappresenta un unicum nel territorio e forse in Sardegna». Il problema è però che nessun agricoltore sinora ha deciso di rischiare nella produzione di cipolle in quantità tali da poter essere commercializzate al di fuori del paese. «Vogliamo incoraggiare i piccoli produttori a vincere le proprie remore e a lanciarsi nel mercato - conclude il sindaco -, soltanto in questo modo il paese potrà avere una chance per uscire dall’isolamento e diventare protagonista del proprio futuro».

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