La Nuova Sardegna

Sassari

Crisi delle campagne, gli errori delle coop

Angelino Olmeo *
Pecorino romano (foto archivio)
Pecorino romano (foto archivio)

L'INTERVENTO - L’aumento della produzione da parte del sistema cooperativo mette in discussione l’intesa tra tutti i soggetti del settore lattiero caseario

13 novembre 2017
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In una riflessione pubblicata dalla Nuova Sardegna qualche tempo fa avevo focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti della crisi delle campagne e del settore lattiero caseario:

1) diminuzione della produzione del latte ovino per la prossima campagna casearia;

2)aumento dei prezzi del foraggio e mangimi;

3)aumento del prezzo del pecorino romano;

4)esigenza primaria di un accordo per programmare e diversificare la prossima produzione.

A quaranta giorni da quelle previsioni, possiamo affermare che sui primi tre punti le abbiamo centrate( il prezzo del pecorino romano è ormai oltre i 7 euro al chilogrammo con una domanda d'acquisto sempre in aumento per la convinzione ormai certa di un forte calo della produzione del latte; non è improbabile di rivedere a breve quotazioni di 8 o 9 euro al chilo.

Un nuovo fatto però suggerisce di essere meno ottimisti per quanto riguarda il quarto punto. Parlare infatti oggi di concordare una programmazione congiuntamente ad una diversificazione della produzione casearia in carico al mondo della trasformazione appare improbabile.

Al momento del rinnovo delle cariche sociali del Consorzio di tutela del pecorino Romano vi è stato da parte del comparto che rappresenta la cooperazione il rifiuto al rispetto degli accordi, per la verità mai scritti ma da sempre consolidati fin dal 1984, salvo qualche rinuncia volontaria manifestata da parte degli industriali.

In questa occasione, la componente delle cooperative, forte dell'aumentato peso di rappresentanza dovuto alla cresciuta quantità di produzione effettuata nella passata stagione ha preso le distanze da quegli accordi. E' paradossale che la componente delle cooperative rivendichi cariche presidenziali non dovute in base agli accordi storici; ancora più paradossale che, nonostante gli impegni presi per produrre non più di 250.000 quintali nel 2016, abbia splafonato di oltre 120.000 quintali e si veda riconosciuto un voto ogni 1000 quintali, dopo aver generato una crisi di mercato che ha fatto perdere oltre il 50% del valore all'intero settore.

Va detto, infatti, senza ipocrisie che proprio questo sforamento nella produzione è all’origine della crisi mercantile del Pecorino Romano con una sovrapproduzione dettata dall'ingordigia, e la responsabilità maggiore di questa situazione è della componente della trasformazione cooperativa.

Davanti a quest'atto, la componente industriale privata si è chiamata fuori dal Consiglio del Consorzio e quindi dalla sua gestione. Parlare quindi di programmazione concordata appare ridicolo. Rendere gli industriali privati liberi da responsabilità di gestione del Consorzio è una operazione miope e dannosa per il settore.

Cosa succederà nel prossimo futuro? Gli industriali, liberi da cariche consortili e senza vincoli, si sottrarranno a qualsiasi accordo e magari produrranno quel quantitativo di Romano che avevano dismesso nel recente passato, forse come prodotto similare al Pecorino Romano ma non marchiato, con pezzature anche più contenute per maturare prima, senza vincoli ed oneri di marchiatura e vigilanza e senza limiti di stagionatura.

D'altronde come commodoty destinata alla grattugia questo prodotto ha il vantaggio di avere minori costi.

La componente cooperativistica di fatto, con questo atteggiamento, ha innescato una "guerra" inutile e dannosa che può sfociare in una frenata all'aumento del prezzo del formaggio e che può essere il preludio per una prossima crisi di sovrapproduzione che si riverserà come sempre sull'anello più debole della catena: gli allevatori.

*allevatore



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