La Nuova Sardegna

Sassari

Dalle bioplastiche al compost, la sfida della green economy

Alfredo de Girolamo
Dalle bioplastiche al compost, la sfida della green economy

L'INTERVENTO - Le aziende investono per ridurre gli impatti ambientali. Ma serve anche un quadro adeguato di azioni pubbliche

15 novembre 2017
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L’Italia svolta verso la strada della Green Economy, realtà ormai tra le più diffuse tra le aziende che, con forza, hanno raccolto la sfida quale contributo fondamentale per uscire dalla crisi economica. I recenti dati di Greenitaly, l’annuale rapporto della Fondazione Symbola, sono l’ultima testimonianza di questa tendenza: dal 2011 a oggi sono oltre 350 mila – il 27% del totale – le aziende che hanno investito nelle tecnologie green per ridurre gli impatti ambientali, un numero sempre crescente e che finora ha portato alla generazione di quasi tre milioni di green jobs, posti di lavoro nel settore. Nuova frontiera tra le più interessanti e importanti, nel panorama della Green Economy, su innovazione economica ed ambientale dei prossimi anni è la bioeconomia, una sfida che tutto il Paese può vincere. Uno sviluppo economico basato sul flusso delle risorse naturali e la loro rinnovabilità, per produrre materiali, prodotti ed energia in una logica di economia circolare, per “decarbonizzare” l'economia, superare la dipendenza dai combustibili fossili e raggiungere gli obiettivi di Cop21 e 22, le conferenze internazionali di Parigi e Marrakech sul clima. Ma anche un modo per generare posti di lavoro, innovazione e crescita economica sostenibile. Già oggi in Europa la bioeconomia genera il 9% del Pil, con 18 milioni di addetti, e l'Italia è terza in classifica (dopo Germania e Francia). La sfida e la competizione globale su questo nuovo mercato sarà durissima.

Basti pensare alle prime bioraffinerie, ai biocarburanti, ad alcuni prodotti come le bioplastiche (i sacchetti meter-b della spesa), al compost. L'Europa ha già definito una propria strategia tematica, così come l'Italia ed il settore è considerato in crescita nei prossimi anni da tutti gli analisti. Sta a noi cogliere questa opportunità e acquisire leadership industriale. I dati di partenza sono impressionanti: nel solo campo dei rifiuti urbani da qui al 2020 verranno raccolte in forma differenziata 800mila tonnellate di frazione organica, 300mila di carta, 70 mila di legno, cui aggiungere 150mila tonnellate di fanghi di depurazione civile.

I volumi degli scarti agricoli, forestali, industriali e marini sono ancora più grandi. Il flusso di rifiuti organici (biowaste) è rilevante, e può essere messo a frutto per produrre materiali, prodotti ed energia trasformando un problema in opportunità. Serve prima di tutto innovazione: nuovi processi, nuovi prodotti, nuove filiere produttive, nuovi impianti. Per questo le imprese, a partire da quelle pubbliche e che gestiscono servizi, devono mettere a punto piani industriali adeguati, per cogliere le occasioni di un business in crescita. L'auspicio è che possiamo conquistarci uno spazio economico ed industriale avanzato nello scacchiere internazionale, e perché questo accada le imprese devono specializzarsi, fondersi e crescere. Serve un quadro di azioni pubbliche altrettanto adeguato: politica industriale, norme e standard, risorse per la ricerca e l'innovazione, incentivi. Un ruolo fondamentale possono svolgerlo le aziende del servizio pubblico locale, centrali per l’economia quotidiana del Paese, attraverso proposte concrete e operative. Eccone alcune. Chiudere la filiera dell'uso della frazione organica dei rifiuti urbani e del legno con la produzione e commercializzazione di compost di qualità, energia e biometano per la rete e le flotte pubbliche, la produzione di bioprodotti sviluppando la bio-based-industry. Chiudere la filiera dei fanghi civili, come ammendante agricolo di qualità sia con uso diretto che trasformando il fango con processi industriali innovativi riportando humus in terreni sempre più poveri. Riusare l'acqua depurata il più possibile in industria e agricoltura.

Tutte cose realizzabili in poco tempo, da parte di un sistema di imprese sano e solido che può investire, ma servono prima di tutto impianti, quindi consenso alle localizzazioni e iter autorizzativi certi e rapidi, risorse e strumenti per investimenti, innovazione e formazione – e per questo una parte dei Fondi strutturali europei può e deve essere utilizzata – e infine incentivi chiari e efficaci: a livello centrale si stanno definendo quelli per il biometano, mentre non sono stati fatti passi avanti per incentivi al riciclo di materia.

Insomma, alla vigila dell’approvazione finale del pacchetto economia circolare da parte dell’Unione europea, quella della bioeconomia è una sfida che l’Italia vuole e può vincere. Obiettivo: farla salire, dal 9 per cento odierno, al 20 per cento del Pil nazionale al 2030.

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