La Nuova Sardegna

Sassari

Spreco alimentare, gli errori di uno stile di vita insostenibile

Alfredo De Girolamo
Alimenti gettati tra i rifiuti lungo una strada della Sardegna
Alimenti gettati tra i rifiuti lungo una strada della Sardegna

L'OPINIONE - Mangiamo troppo, eppure gettiamo via tantissimo cibo. Finalmente in Italia strategie per contenere il fenomeno

18 novembre 2017
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Per contrastare lo spreco alimentare tanto è stato detto e fortunatamente anche fatto in questi ultimi anni. Per molto tempo argomento passato inosservato, oggi lo spreco alimentare gode di una certa attenzione, grazie alle numerose campagne per evitare di buttare via cibo ancora buono, ai rapporti che certificano come si fa per prevenirlo e quanto vale in termini economici, sino alle leggi, ultima quella entrata in vigore in Italia poco più di un anno fa, che ha anche ufficializzato come gli italiani, oggi, sprecano molto meno cibo di prima.

La guardia però deve restare alta, e aiuta a farlo l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del ministero dell’Ambiente, che ha presentato il suo primo rapporto tecnico sul tema: “Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”. Primo e unico, perché offre un approccio che mira a fare un po’ di chiarezza terminologica e di senso. La differenza fra rifiuti alimentari e spreco alimentare (in inglese la parola è la stessa, waste), esiste, per cui non tutti i rifiuti alimentari sono “sprechi”. Cosi come c’è una parte di spreco alimentare non tanto nei rifiuti, quanto nell’eccesso di alimenti che consumiamo nei paesi più sviluppati. Per una corretta produzione e distribuzione alimentare, mitigare la pressione sull’ambiente, migliorare la salute delle persone e promuovere un’equa distribuzione delle risorse alimentari nel mondo, queste due distinzioni sono importantissime.

Senza contare l’impatto economico: nell’Unione europea lo spreco alimentare vale 143 miliardi di euro, inclusi anche i costi legati all’acqua e all’incidenza ambientale, dei quali 98 miliardi imputabili esclusivamente al cibo gettato a livello domestico. L’altro aspetto sottolineato dallo studio è che lo spreco alimentare presente nei rifiuti si origina principalmente in fase di produzione e distribuzione, e non nella fase di consumo. Un modo sbagliato di vedere il tema ha invece sottolineato, da anni, la quantità di cibo presente alla fine della filiera nei rifiuti urbani.

Il problema più grosso è a monte. E una parte anche dello spreco alimentare in fase di consumo è determinato dal tipo di produzione e distribuzione (scadenze dei cibi, modalità di confezionamento). Dato interessante dello studio è anche quello rappresentato dall’impatto del cibo sprecato sulla produzione di gas serra e dunque sull’instabilità climatica degli ultimi anni: in Italia vale il 3 per cento del totale delle emissioni climalteranti, con il 60 per cento dell’energia utilizzata per la produzione alimentare per l’uomo che va sprecata.

L’unico dato incoraggiante è che il tasso di spreco si sta gradualmente riducendo, anche a causa della crisi economica di questi anni. Infine, da non sottovalutare anche i numeri legati all’inefficienza in fase di produzione e fornitura. Per Ispra, la tendenza globale presa in considerazione indica un aumento rilevante di sprechi tra produzione e fornitura (+48%), una sovralimentazione in fortissimo aumento (+144%) e uno spreco in consumo e vendita al dettaglio che diminuisce del 23%. Del 44% di spreco globale, il 24% è causato da inefficienza di allevamenti animali, pari al 55% degli sprechi totali; in Europa tocca quota 73% degli sprechi e in Italia il 62%.

Che fare? Gli strumenti di policy sono già stati in buona parte definiti: il nuovo Pacchetto di norme sull’economia circolare, il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (2015), la Strategia nazionale di sviluppo sostenibile (2017), la legge nazionale sullo spreco alimentare (2016), il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti (2013). Partendo da qui, è possibile contrastare lo spreco alimentare, ottenendo svariati effetti benefici: riduzione dell’emissione di gas serra, migliore distribuzione delle risorse alimentari nel mondo e contrasto alla fame, migliore utilizzo dell’acqua, riduzione dei costi di gestione dei rifiuti, miglioramento della salute della popolazione. Una classica policy a dividendo multiplo. Non mancheranno le difficoltà. Modi di produzione e stili di vita nei paesi ricchi si basano strutturalmente su un elevato tasso di spreco e convertire questo fattore non sarà facile. Anche se i paesi ricchi poi riducessero gli sprechi, questo non comporterebbe automaticamente una migliore distribuzione del cibo nei paesi poveri (2 miliardi di persone ancora oggi hanno difficoltà di accesso al cibo e 800 milioni soffrono di malnutrizione).

Il tema dello spreco alimentare insomma presenta nel suo insieme dati macroscopici per cui è urgente una strategia operativa di medio e lungo periodo.


 

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