La Nuova Sardegna

Sassari

Il futuro di Sorso parte dal passato

di Giovanni Bua
Il futuro di Sorso parte dal passato

Dopo i decenni di terziario e fabbrica si torna alle campagne. Prodotti di qualità, storia e turismo le chiavi della ripresa

19 novembre 2017
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INVIATO A SORSO. “Stay hungry. Stay foolish”, diceva Steve Jobs nel celebre discorso agli studenti di Stanford il 12 giugno 2005. E mai invito potrebbe essere più adeguato per svegliare dal torpore la “matta e affamata” Sorso.

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Matta perché, come i suoi stessi abitanti scherzosamente confermano, la sua storia e la sua lingua “di confine” (che mischia logudorese, elementi toscani e genovesi e influenze corse) hanno forgiato un’indole frizzante, a tratti geniale, ospitale, disincantata e sempre pronta allo scherzo e allo sfottò, risorsa ma anche limite, quando si tramuta in tentazione di farsi scivolare tutto addosso. Affamata perché, come tutti i centri che hanno costruito negli anni ’70 le loro fortune su un massiccio terziario e il miraggio della fabbrica, si è trovata di colpo a dover ripensare il suo modello di sviluppo, sostenuto negli ultimi lustri più da pensioni che da stipendi, con una vocazione agricola da reinventare, dopo l’abbandono delle campagne. Una propensione all’impresa da fondare ex novo. E una scommessa sul turismo su cui imparare a puntare per davvero.

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«Eppure – sottolinea il sindaco Giuseppe Morghen – le nostre potenzialità sono enormi. Sia per la collocazione geografica, di fatto sul mare ma anche “interna”, con eccellenze enogastronomiche, bellezze archeologiche, sagre e feste civili e religiose, che sembrano fatte apposta per allungare la stagione». E proprio sul turismo la cittadina della Romangia, che si affaccia sul golfo dell’Asinara con i suoi 18 chilometri di spiagge e di dune riparate da pini, ginepri e palme nane, punta molto del suo futuro da riscrivere. «Il rilancio delle strutture della fascia costiera, il completamento della litoranea, il centro di educazione ambientale – sottolinea Morghen – ma anche il lavoro in sinergia con la Rete Metropolitana, per fare sistema. E la nostra rete dei B&B, la ristorazione, i vini e i prodotti. Insomma le premesse ci sono tutte. Serve ora uno scatto culturale. Servono giovani che abbiano voglia di mettersi in gioco. Per creare i servizi di appoggio che mancano».

«Sorso è un giardino sul mare – spiega Michele Roggio, il più giovane dei consiglieri comunali – e ha non una ma almeno due o tre vocazioni già belle e pronte. Basta guardare indietro, al nostro ruolo nel passato. E avanti, alle infinite possibilità che il futuro ci offre. Serve una scintilla, per bloccare un impoverimento più culturale che economico. Gestire le emergenze e le sacche di disagio che chiaramente ci sono, ma più di tutto creare “la mappa” dentro cui i nostri giovani si devono muovere, e riniziare a sognare».

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«La realtà – spiega Ruggero Roggio, storico dirigente della biblioteca comunale – è che il primo disincanto da coltivare è quello per la politica. Sorso è una cittadina molto politica, e la politica spesso ha dato risposte ma ha anche generato continue e drammatiche divisioni. Quei tempi sono finiti. Dobbiamo ricompattare una città sfilacciata, mettere via le macerie della crisi. E ripartire. Ci stiamo provando con lo sport, il calcio, la pallavolo, la società di atletica. Un primo passo, ma anche un esempio da seguire».

Ripartire dal turismo dunque, dalla vocazione agricola, dall’olio e dal vino (oggi con i suoi 820 ettari la Romangia dispone da sola del 3% dei vigneti della Sardegna, ed è seconda nell’Isola solo ad Alghero come superficie vitata). Ma anche da un mondo associazionistico “frizzante”. «Stiamo cercando – spiega il presidente della Pro Loco Emanuele Farru – di essere il punto di riferimento per le tante associazioni cittadine. E già oggi Sorso mette in piedi un cartellone importante. Dal Carnevale, alla sagra della melanzana, passando per eccellenze come Calici di Stelle. Ma c’è ancora da fare un lavoro importante di recupero delle tradizioni. E sono i giovani che ci devono accompagnare in questo». Magari issandosi sulle spalle dei “giganti” del passato, più o meno prossimo. Come Salvatore Farina o Giorgio Sisini (fondatore della Settimana Enigmistica), Salvatore Cottoni o Pasquale Marginesu, Giuliano Leonardi o Pietro Antonio Manca. «Quello che ci salva è la nostra intelligenza – dice divertito Gabriele Porqueddu, imprenditore e autore di un breviario “eterodosso” di parole, frasi e imprecazioni sorsensi – e quel pizzico di macchini che se ben instradato si può trasformare in genio».
 

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