La Nuova Sardegna

Sassari

La storia travagliata dell'inno, così ha battuto "Va pensiero"

Eugenia Tognotti
La nazionale italiana di rugby mentre canta l'Inno di Mameli prima di una gara
La nazionale italiana di rugby mentre canta l'Inno di Mameli prima di una gara

L'OPINIONE - Il canto risorgimentale del ligure-sardo Goffredo Mameli diventato ufficiale dopo 71 anni. Il silenzio dei leghisti

20 novembre 2017
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La notizia che solo pochi giorni fa l’inno di Mameli, il ‘canto degli italiani’, è diventato ufficialmente l’inno della Repubblica italiana, ha qualcosa di sorprendente e, insieme, di bizzarro, se si pensa che per ben settantun anni l’Italia è stata rappresentata da un inno ‘provvisorio’. Una caratteristica, vale la pena di osservare, che non condivideva con nessun altro paese al mondo, non si dica con ‘i grandi’ d’Europa, la Francia o la Gran Bretagna, con i loro storici, notissimi inni - la ‘Marsigliese’ e ‘God Save the Queen’ - ma neppure col più piccolo e recente Stato nazionale africano.

Tutta la vicenda merita un posto d’onore nelle italiche stranezze e stravaganze, a cui, pure, abbiamo fatto l’abitudine. Questi i fatti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, era stato adottato come inno provvisorio la Canzone del Piave. Al tempo dell’Assemblea costituente la questione fu ampiamente discussa. Tra le ipotesi in campo Va Pensiero e l’Inno delle nazioni. Alla fine, non essendo stato raggiunto un accordo, il ministro della guerra, nell’imminenza del giuramento delle Forze Armate del 4 novembre 1946, comunicò in Consiglio dei ministri, presieduto da Alcide De Gasperi, che si sarebbe adottato ‘provvisoriamente’, come Inno nazionale il Canto degli Italiani (più noto come Inno di Mameli).

Passano i decenni, ma il sigillo delle istituzioni tarda ad incoronare l’Inno. Il momento buono sembra arrivare infine nel 2005. Il primo passo viene compiuto dalla commissione Affari costituzionali della Camera. Il testo che doveva passare all'esame dell'aula di Palazzo Madama prevedeva un decreto del presidente della Repubblica, al quale sarebbe stato allegato lo spartito musicale originale, con le modalità di esecuzione di "Fratelli d'Italia" nelle cerimonie ufficiali. Ma i sei decenni passati da quel lontanissimo 1946 non sembrano ancora bastevoli a rimediare alla transitorietà dell’Inno. Destinata a concludersi, per una beffarda coincidenza, il 13 novembre scorso, giorno della disfatta della nazionale azzurra per la qualificazione ai prossimi Mondiali di calcio, l’ultima occasione ‘ufficiale’ in cui è stato intonato a San Siro.

La notizia della sua ufficializzazione, ha lasciato interdetti milioni di ‘fratelli’ (e sorelle) d’Italia, ignari del fatto che all’alba della Repubblica fosse stato adottato solo ‘provvisoriamente’ e aspettasse in anticamera, per così dire, legislatura dopo legislatura, il passaggio di rango. Questo mentre l’Inno, dai campi di calcio alle sedi istituzionali e non, intonato in cerimonie ufficiali più o meno solenni, parate militari ed eventi sportivi, veniva percepito - pur tra critiche di varia ispirazione e provenienza - come il simbolo dell’Unità nazionale e della Repubblica. Tanto che, appena cinque anni fa, per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Senato approva un disegno di legge che - oltre ad istituire il giorno dell’Unità nazionale, della Costituzione, e della bandiera, il 17 marzo - introduce l’insegnamento dell’Inno di Mameli, e dei suoi fondamenti storici e ideali, nelle scuole.

In quella occasione, i leghisti - a cui proprio non andava giù di cantare “Dov'è la Vittoria? / Le porga la chioma / Ché schiava di Roma /Iddio la creò” - avevano innalzato le barricate, producendosi in una bellicosa contestazione dell’iniziativa, a suon di aggettivi dispregiativi, il più delicato dei quali era ‘inutile’, mentre i parlamentari della maggioranza che avevano votato il decreto legge, erano liquidati con l’elegante appellativo di “schiavi di Roma”. Del resto era ben noto che nelle terre di fede leghista, il canto risorgimentale, scritto, in un clima di fervore patriottico che preludeva alla guerra contro l'Austria, dal giovane patriota ligure-sardo Goffredo Mameli, e musicato da Michele Novaro, non fosse mai piaciuto, (per usare un eufemismo), tanto da essere sostituito, in molte occasioni, anche ufficiali, dall’amato “Va pensiero”. Si può forse leggere come un segno dei tempi, l’assenza di contestazione, e persino di mugugni extraistituzionali nei confronti della legge che ha incoronato il contestatissimo ‘Fratelli d’Italia’ come inno nazionale.

Nessuna opposizione questa volta. Assenti, al momento dell’approvazione della legge, sia alla Camera che al Senato, i leghisti hanno chiarito di essere impegnati in altri compiti istituzionali. Così, il Canto degli italiani è finalmente l’inno ufficiale dell’Italia, dalla Padania alla Sardegna, da cui proveniva la famiglia del giovane autore del testo, il cui padre, Giorgio, era comandante di una squadra della flotta del Regno di Sardegna. Che dire? Abbiamo l’Inno, non più ‘provvisorio’. Restano da recuperare i riferimenti ideali e i valori di cittadinanza, il sentimento di patria, del sentirsi orgogliosamente italiani, e non solo quando gioca la Nazionale e si sentono le parole di quell’inno risuonare nei campi di calcio.
 

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