La Nuova Sardegna

Sassari

Processo a Cappato? No, all’amore e alla pietà

Ferdinando Camon
Processo a Cappato? No, all’amore e alla pietà

L'OPINIONE - L’esponente radicale è sotto accusa per aver accompagnato Fabo al suicidio assistito. Ma la madre e la fidanzata del dj spiegano che non c’è alcun male da punire

07 dicembre 2017
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Non si capisce qual è il bene che vuol difendere e il male che vuol punire il processo in corso contro Marco Cappato, esponente dei radicali che ha accompagnato in Svizzera, per il suicidio assistito, il povero Dj Fabo. Dj Fabo soffriva un male insopportabile e, soprattutto, interminabile, un inferno, perciò voleva farla finita: farla finita subito e in modo indolore sembrava a lui un paradiso. E non solo a lui. Anche alla fidanzata. Anche alla madre. Anche a Cappato. A tutti coloro che lo amavano. Accompagnarlo alla morte non era dunque una forma d’odio o d’indifferenza, ma d’amore. Dunque, che senso ha processare uno di questi accompagnatori? Per punirlo di quale malvagità?

La madre era presente al momento in cui il figlio doveva azionare il meccanismo che gli toglieva la vita, in quell’ultimo istante il figlio cercò il consenso della madre e la madre glielo diede. Non gli disse: «Accetto quello che fai», non parlò di sé in prima persona, ma gli disse: «La madre ti dice: Vai». Presentandosi come «la madre», si presentò come la fonte della sua vita, e fu come se gli dicesse: «Colei che ti ha dato la vita, si rende conto che adesso la tua vita è diventata insopportabile; e ti aiuta, per amore, a liberarti dalla sfortuna».

Il figlio aspettava questo assenso. Non l’assenso della Legge, non dei Carabinieri, non dei Giudici, non della Chiesa, che pure sono autorità altissime e riconosciute, contro le quali il figlio non ha alcuna intenzione di andare. Ma egli soffre troppo. Sentite le parole della madre, «premette il pulsante», dicono alcune cronache. Ma non è vero. Non era in grado neanche di premere un pulsante, non era padrone delle mani. Poteva soltanto morderlo. E così fece, strinse il pulsante fra i denti, e quella fu la fine. Processare qualcuno per questa fine? E chi? C’è qualcuno che voleva far del male a Fabo, e gliel’ha fatto? Qui tutti lo amavano, ma la domanda è: cosa vuol dire “amare”?

Due pm, Sara Arduini e Tiziana Siciliano, avevano chiesto che il processo non si facesse, ma si procedesse all’archiviazione. Questi due pm (“queste” due pm, due donne) sentivano che in tutta la vicenda c’era l’amore impotente e disperato della condizione umana, che può trovarsi in questa trappola, per cui la vita è male senza fine, e per uscire dal male devi uscire dalla vita. E se ami colui che sta male devi aiutarlo a uscire, o permettergli di uscire, dalla vita. Così facendo, tu ami colui che soffre. Ma sulla causa intervenne un gip, che non intende soprassedere, e impose il processo. Bisogna avere rispetto e ammirazione per questo gip, perché anch’egli è guidato dall’amore, ma dall’amore per la Legge.

Che un gip metta la Legge al di sopra di tutto, e che quando si tratta di applicare la Legge non si ponga altri problemi, è ammirevole. Egli dunque ama la Legge. Ma non ama l’uomo. Su queste cose mette il suo giudizio e il suo verdetto anche la Chiesa, del resto si tratta del far finire una vita, e dar inizio e dar fine alla vita è diritto di Dio, e la Chiesa esiste per ricordarlo, sempre e a tutti. La Chiesa è contraria a che un uomo, sia pure in condizioni estreme, si tolga la vita. Dio ha detto di no. E la Chiesa ripete quel no. Ma chi ama la Chiesa con quel divieto? Ama Dio, non ama l’uomo, che soffre a livelli inenarrabili, e in quell’abisso di sofferenza viene abbandonato.

Lo dice bene la fidanzata, quando racconta che Fabiano era tetraplegico e cieco (in séguito a un grave incidente), e da lei voleva il consenso a farla finita. Non solo il consenso, ma anche l’aiuto, l’accompagnamento. «Ho temporeggiato a lungo – confessa la fidanzata –, ma alla fine ho capito che se gli avessi risposto “no, non ti aiuto”, voleva dire che non lo amavo: nella massima sventura della sua vita, lo piantavo in asso». Nel periodo di questa incertezza, la fidanzata era combattuta fra due amori, il suo ragazzo com’era e com’è. Si dirà che il secondo amore è una forma di pietà. Sì, certo. Pietà non solo per questo ragazzo, ma per tutti gli uomini. Per lui, per se stessa, per noi. Per la condizione umana in generale.



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