La Nuova Sardegna

Sassari

«Nell’omicidio di Buddusò tanti indizi e niente prove»

di Nadia Cossu
«Nell’omicidio di Buddusò tanti indizi e niente prove»

Il delitto Bacciu dell’aprile 2011, depositate le motivazioni del processo d’appello Per i giudici di secondo grado contraddizioni e suggestioni nella ricostruzione

19 dicembre 2017
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BUDDUSÒ. «Un castello di indizi non può reggere quando in gioco c’è il destino di tre persone», era stata la conclusione dell’arringa di Antonio Secci, uno degli avvocati della difesa. E sono stati proprio quegli “indizi” a convincere i giudici della corte d’assise d’appello a confermare la sentenza di assoluzione dei tre imputati nel processo per il duplice omicidio di Buddusò (avvenuto il 29 aprile del 2011). Indizi, appunto, non prove.

Le motivazioni. Sessanta pagine per motivare la decisione di assolvere Salvatore Brundu, 27 anni, Giovanni Antonio Canu, 51, e Gianni Manca, di 46, dall’accusa di aver ucciso (sei anni fa) con una scarica di pallettoni Antonio Bacciu, 28 anni, e suo zio Giovanni Battista, di 69. Altri due fratelli della giovane vittima scamparono miracolosamente all’agguato. Uno riuscì a scappare e rimase ferito al braccio, l’altro invece si finse morto accanto al cadavere dello zio.

Gli indizi. Sicuramente tanti, in questo processo. Rilevati, dal pm che ha impugnato la sentenza di primo grado, soprattutto nelle intercettazioni ambientali. «Ma non può certo dirsi – scrivono i giudici d’appello – che dati plurimi, benché poco rappresentativi, possano diventare significativi e capaci di fondare una sentenza di condanna per fatti così gravi solo perché numerosi». E spiegano bene come l’indizio «isolatamente considerato fornisce solo una traccia indicativa di un percorso logico argomentativo, suscettibile di avere diversi possibili scenari». E ciascuno degli indizi richiamati dal pm «non supera né da solo, né raccordato agli altri, quel rigoroso vaglio che la giurisprudenza di legittimità richiede perché si possa ritenere provato un fatto (peraltro così grave) sulla base di elementi indiziari».

Il movente. Tra intercettazioni e testimonianze nel processo di primo grado erano stati ricostruiti i rapporti tra le famiglie Bacciu-Canu-Brundu-Manca. Legami fatti di tensioni dovute, stando al pm Carlo Scalas, prima di tutto al terreno conteso di Biderosu. Clima sfociato in reciproci dispetti, in avvertimenti e minacce più o meno velate che nel mondo della campagna sono purtroppo molto frequenti e che a volte hanno esiti devastanti. Rancori e ostilità tali da spingere i tre – questa la tesi dell’accusa – ad architettare l’omicidio.

Le intercettazioni. Anche nel caso del movente il richiamo del pm era stato ad alcune intercettazioni. «Ma la conversazione, valutata nel suo contenuto complessivo, non è una prova diretta», scrivono i giudici d’appello.

I passi del killer. «Tardivi – aggiungono – i riferimenti fatti da Angelo Bacciu (il giovane sopravvissuto al delitto ndc) ai passi particolarmente lunghi e molleggiati del killer che lo inseguì (il riferimento era a Brundu ndc), essendo giunti dopo averne reso altri in cui tale dettaglio non veniva in alcun modo riferito e ben potendo essere inquinato da suggestioni esterne (quelle indotte dal padre) e dalla visione non certo felice (il killer era alle sue spalle)».

La difesa. Gli avvocati Antonio Secci e Sara Luiu per Giovanni Antonio Canu, Claudio Mastandrea e Secci per Salvatore Brundu e Speranza Benenati per Gianni Manca, hanno sempre cercato di smontare le intercettazioni, frasi in dialetto «spesso scollate l’una dall’altra e ricucite all’occorrenza». E i giudici d’appello hanno evidentemente accolto la loro tesi e confermato l’assoluzione.

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