La Nuova Sardegna

Sassari

Prima l’ergastolo poi la libertà e una laurea in tasca

di Luigi Soriga
Prima l’ergastolo poi la libertà e una laurea in tasca

Storia del riscatto del killer di mafia Domenico Masciopinto. Nel 2003 fece parte di un commando che uccise un 16enne

20 dicembre 2017
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SASSARI. Puoi aver visto la morte in faccia tante volte, essere nipote di un boss, aver partecipato a diverse sparatorie, aver conosciuto più il carcere che la vita. Eppure davanti a un microfono, a una platea che ti ascolta, a un plotone di smartphone che ti inquadra, e a una commissione di esame nell’aula magna dell’Università, ci si riscopre esseri fatti di carne, emozioni e paura. Tremano le mani, la voce incespica, suda la fronte, e dentro al petto pompano i subwoofer.

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Ha un abito nero, papillon, occhi azzurri un po’ smarriti, stringe tra le mani una tesi sul “Potere” che da lì a pochi minuti dovrà discutere. Sta per diventare dottore, prima ancora di essere un uomo libero.

Domenico Masciopinto ora ha 33 anni e un peso enorme sulla coscienza. È il 2 ottobre del 2003, e nel quartiere di Carbonara, periferia di Bari, quella sera è alla guida di un’auto. Con lui ci sono altre cinque persone, un commando di fuoco che si muove per un regolamento di conti tra clan rivali. Masciopinto è il nipote del boss Antonio Di Cosola, Sacra corona unita, e l’obiettivo dei killer sono due affiliati della famiglia Strisciuglio. In ballo, in questa guerra di mafia, c’era il traffico di stupefacenti in due rioni del capoluogo barese. Il commando estrae le pistole e apre il fuoco. Gaetano Marchitelli, uno studente di 16 anni, muore trafitto dai proiettili per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quel giorno lavorava come garzone in una pizzeria dove sedevano i membri del clan Strisciuglio. Questi ultimi vengono colpiti ma si salvano. Ma il bilancio è pesantissimo: un ragazzino innocente morto, e un altro ferito.

Masciopinto viene condannato prima all’ergastolo, poi pena ridotta a 30 anni, poi a 20, e infine a 14 anni per buona condotta. Il 31 dicembre salderà i conti con la giustizia.

«La prima volta che sono entrato in carcere avevo 17 anni. La vita non l’ho praticamente conosciuta. Non avevo istruzione, appena il diploma di scuola media. La detenzione ti fa pensare molto. Ho capito che anche nei momenti più bui puoi fare qualcosa di positivo. Sta a te trovare l’occasione per riaffacciarti alla luce. Per me è stata la possibilità di studiare, e studiare ti apre la testa. Quando delinqui e fai parte di un clan hai solo tre strade: uccidere, morire o andare in galera. I libri allargano le possibilità, ti fanno capire che ci sono vie d’uscita».

Sono diversi i reclusi del carcere di Nuchis-Tempio iscritti ai corsi di laurea triennale. Cinque studiano Scienze della Comunicazione e sei Scienze Politiche. Quasi tutti sono pluriomicidi, e alcuni ergastolani che non vedranno mai la luce. Però cercano ugualmente un’occasione di riscatto.

«Non è facile scardinare certi codici che hanno assimilato nella vita precedente – racconta il docente universitario Guglielmo Sanna – faccio un esempio. Una volta mi è capitato di interrogare un laureando sulla storia della Francia. Era in difficoltà, perché per la maggior parte parliamo di persone ben poco scolarizzate e per nulla abituate ad argomentare. Allora per aiutarlo gli ho chiesto: mi faccia il nome di qualche sovrano. E lui: “professò, non mi chieda di fare nomi perché io di nomi non ne faccio”. Oppure me ne viene in mente un altro: c’era un ragazzo che per connotare negativamente un personaggio storico, lo definiva “quel cornutazzu di...”. Sono giovani che purtroppo hanno scoperto i libri e lo studio solo dietro le sbarre».

Dice la sociologa Romina Deriu: «Per noi seguire questi studenti è una esperienza straordinaria e una scommessa. Significa offrire un’occasione di riscatto, una possibilità di reinserimento nella società. Dare un’ alternativa, anziché buttare le chiavi».

Domenico Masciopinto ora si districa tra Max Weber e il giusnaturalismo di Hobbes, cercando di distillare le duecento pagine della sua tesi. Anche il concetto di Potere, declinato nella vita reale, ora per lui assume un significato diverso: «Per me l’immagine del potere è sempre stata questa: uno che comanda e uno che obbedisce. Ora credo che sia importate la relazione tra i due soggetti, ci deve essere consensualità. È importante non sia un’azione a senso unico».

È il momento della proclamazione: 102 su 110, dottore in Scienze della Comunicazione. E poi dai libri bisognerà catapultarsi nella realtà, e reimparare a vivere.
 

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