La Nuova Sardegna

Sassari

Miniera di Furtei, la Sardegna avvelenata per un pugno d'oro

Luca Rojch
Un bacino di sversamento nell'ex miniera di Furtei
Un bacino di sversamento nell'ex miniera di Furtei

L’oro se lo sono tenuti loro. Ai sardi è rimasta un’area inquinata di 500 ettari

23 dicembre 2017
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L’oro se lo sono tenuti loro. Ai sardi è rimasta un’area inquinata di 500 ettari. La storia della miniera di Furtei è un simbolo. Il simbolo dei grassatori in doppiopetto. Dei predoni che devastano la Sardegna, portano via i profitti e lasciano le macerie, che si dovranno pagare i sardi con i loro soldi. A leggerla dal futuro la storia della Sardinia gold mining sembra la perfetta sceneggiatura di un film surreale. Un gruppo di magnati australiani viene a cercare l’oro in Sardegna. In Sardegna. Sì ma non pepite. Il nostro è più un Eldorado in polvere. Piccoli frammenti nascosti tra le dolci colline della Marmilla. Alla fine dopo 10 anni in cui i colli intorno a Furtei sono stati annaffiati con arsenico, cianuro e cadmio sono state tirate fuori 4 tonnellate e mezzo d’oro, poi argento e rame. In totale un valore di 80 milioni di euro. Per la bonifica la Regione ne spenderà molti di più. Gli australiani più veloci di un canguro sono saltati via dall’affare. Al loro posto la canadese Buffalo gold. Ma nel 2009 la Sardinia gold mining non brilla più. I 42 posti di lavoro sono evaporati.

L’oro se lo sono portati via gli investitori stranieri. Nella miniera c’è un invaso che contiene una tonnellata di cianuro di sodio e 30mila litri in soluzione. Quasi una pozzanghera se paragonata agli 11 ettari della “diga sterili” che contiene 2 milioni di tonnellate di fanghi tossici.

Una bomba tossica che è un po’ il simbolo di una terra che ha mangiato veleno in cambio di posti di lavoro. Che per disperazione ha barattato la salute per una busta paga. Una terra raggirata dai grandi investitori che hanno aperto fabbriche più per fare cassa con i contributi che per un reale sviluppo industriale.

I veleni sono un filo rosso che unisce l’isola del lavoro che non c’è. Dalla darsena dei veleni di Porto Torres, ai fondali ricchi di amianto e idrocarburi dell’ex arsenale della Maddalena, nel cuore del parco nazionale. Dalla vasca dei fanghi rossi, che ora si vuole raddoppiare a Portovesme, alle aree minerarie del Sulcis. Per non parlare delle aree sotto servitù usate nei poligoni per le esercitazioni. Un’isola avvelenata per un pugno di monete, che spesso sono anche di oro finto.

Luca Rojch

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