La Nuova Sardegna

Sassari

Preso in via Roma latitante della camorra

di Gianni Bazzoni
Preso in via Roma latitante della camorra

E’ un avvocato, evaso a dicembre da Aversa dove si trovava ai domiciliari e aveva trovato ospitalità vicino al Tribunale

26 gennaio 2018
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SASSARI. Aveva scelto una casa in prossimità di via Roma, a pochi passi dal Tribunale, e lì pensava di vivere indisturbato la latitanza che era cominciata il 22 dicembre del 2017 quando si era allontanato dalla sua abitazione di Aversa dove si trovava agli arresti domiciliari. La fuga di Giuseppe Stabile, 52 anni, avvocato penalista affiliato alla camorra, è durata poco più di un mese perché i carabinieri del nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Sassari l’hanno individuato e arrestato mentre usciva di casa per andare a fare una passeggiata per le vie di Sassari.

Il penalista ha reagito con una espressione mista tra stupore e rassegnazione quando ha capito di essere finito in trappola. Si è fermato e non ha opposto nessuna resistenza. Giusto il tempo di espletare le formalità negli uffici del comando provinciale dei carabinieri e, poco più tardi, i militari guidati dal maggiore Fabio Melci l’hanno accompagnato in carcere a Bancali. E qui - in uno dei penitenziari più sicuri d’Italia che ospita una novantina di detenuti speciali sottoposti al regime del 41bis - resterà a disposizione della magistratura campana in attesa di nuove disposizioni. Nessun provvedimento della persona che lo ospitava a Sassari e che - stando agli accertamenti svolti dai carabinieri - sarebbe risultata estranea ai fatti, nel senso che non era a conoscenza della situazione del penalista.

Giuseppe Stabile è considerato un personaggio di primo piano, capace di gestire direttamente i contatti con alcuni boss della camorra. Stava scontando una condanna a 11 anni di reclusione per la partecipazione e il concorso esterno a due clan camorristici responsabili - tra l’altro - di estorsioni e omicidi.

Il nome del penalista di Aversa, però, non è una novità per la Sardegna. Era stato proprio Giuseppe Stabile - secondo quanto emerso dall’inchiesta - nella notte tra il 24 e il 25 maggio del 2008 a favorire l’evasione del boss Vincenzo Marrazzo (poi condannato all’ergastolo per l’omicidio del boss rivale Francesco Verde) dalla colonia pensale di Isili. Lo ha confermato anche Marrazzo (diventato collaboratore di giustizia). Il penalista avrebbe consegnato al boss due lime per segare le sbarre e un telefonino con il quale il detenuto prese accordi con alcuni familiari per farsi venire a prendere in auto una volta fuori dal carcere di Isili. La vicenda era stata pienamente confermata proprio da Marrazzo una volta diventato collaboratore di giustizia: «Io avevo organizzato tutto. Mi serviva un seghetto e un telefonino. Durante un colloquio lo dissi a mia moglie e chiesi di riferire all’avvocato Stabile di portarmi questa roba. Al colloquio l’avvocato venne e portò due seghetti e il telefonino. Io andai, come sempre, al colloquio con i legali portando con me una cartellina con dentro le carte processuali. Sapendo che avrei ricevuto seghetti e telefonino, preparai la cartellina facendo un po’ di spazio in modo da poter nascondere gli oggetti». L’evasione, in effetti, avvenne così come programmato, mentre in tv veniva trasmessa la partita della Nazionale di calcio. Marrazzo aveva segato le sbarre della cella e le aveva rimesse a posto con il nastro adesivo trasparente, quindi si era calato lungo il muro utilizzando le classiche lenzuola annodate.

Ma all’avvocato Stabile è contestato anche il fatto di avere fatto da postino al padrino detenuto Vincenzo Aversano, legato ai Casalesi, nascondendo i “pizzini” nelle mutande e trasferendoli a uomini di fiducia ancora in libertà. É stato un altro pentito, Giannantonio Masella, a raccontare la storia: «In una delle lettere mi lamentavo con Aversano che le quote che mi arrivavano per le estorsioni erano più basse di quanto mi spettava, mentre quelle per la droga proprio non mi arrivavano. Nella seconda insistevo per fare ammazzare i fratelli Sorgente che mi avevano accusato dell’estorsione per la quale ero stato arrestato».

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