La Nuova Sardegna

Sassari

Segue l'ex moglie col Gps: condannato lo stalker

di Nadia Cossu
Un'immagine simbolo di stalking
Un'immagine simbolo di stalking

Venti mesi senza condizionale a un ingegnere sassarese di 76 anni

02 febbraio 2018
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SASSARI. Un matrimonio finito nel peggiore dei modi. Un marito che dopo la separazione perde la testa e inizia a seguire l’ex moglie ovunque. Lei se ne accorge, cambia le proprie abitudini quotidiane ma non serve a molto. Lui è sempre lì, persino in aeroporto quando lei deve partire per un viaggio fuori dalla Sardegna. In seguito si scoprirà che l’uomo aveva installato un rilevatore Gps sotto la macchina della ex moglie, uno strumento che gli consentiva di conoscerne ogni spostamento.

La sentenza. La vicenda – che ovviamente è approdata in un’aula di tribunale – si è chiusa due giorni fa in primo grado. Il giudice Valentina Nuvoli ha condannato l’imputato, Antonio Ruju, ingegnere sassarese di 76 anni, a un anno e 8 mesi di reclusione senza la sospensione condizionale della pena. Il professionista dovrà anche pagare una provvisionale immediatamente esecutiva di diecimila euro alla ex consorte. La donna, che ha 54 anni, non intascherà quei soldi, ha deciso di donarli a un’associazione che tutela le vittime di violenza.

La storia. I fatti, che sono stati oggetto di un processo a porte chiuse, risalgono al periodo tra settembre del 2014 e giugno del 2017. La vittima, anche lei una nota professionista, dopo la fine del matrimonio (durato oltretutto per breve tempo) comincia a insospettirsi quando si ritrova – ovunque vada – l’ex marito davanti agli occhi. In un primo momento prova a evitare questa presenza ingombrante e opprimente modificando gli spostamenti abituali della giornata. Ma si rende conto che è tutto inutile perché l’ingegnere stranamente è sempre lì dove si trova lei. Il pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio scrive che l’imputato «con la sua continua attività di appostamento e pedinamento della donna nei pressi dell’abitazione e ovunque si recasse, con modalità sempre più intense e aggressive» le aveva causato uno stato d’ansia e di paura tale da «costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita, tanto che la stessa non usciva più di casa, se non accompagnata da persone di fiducia».

Il Gps. La svolta decisiva avviene con il ritrovamento di un Gps sotto la macchina della donna. Il rilevatore viene sequestrato dai carabinieri ai quali la 54enne aveva deciso di rivolgersi. Gli accertamenti tecnici svolti dal consulente del pubblico ministero consentono di ricondurre l’apparecchio all’ex marito perché la scheda Sim contenuta nel Gps risulta intestata a lui. L’uomo per circa sei mesi si era collegato con il suo telefono – anche più volte al giorno – per spiare gli spostamenti della ex. Nella fase delle indagini sono stati anche acquisiti i tracciati che rilevavano i percorsi compiuti dalla macchina e che venivano monitorati costantemente dall’uomo.

La separazione non accettata. Ma un giorno l’ingegnere, attraverso il tracciamento del Gps collegato al suo telefono, capisce che l’apparecchio si trova nella caserma dei carabinieri. Si sente scoperto. Dà la sua spiegazione, attribuisce quel gesto alla difficoltà di accettare il distacco dalla moglie dalla quale era ormai separato e divorziato. Nel 2016, dopo la prima denuncia, era stato anche raggiunto dalla misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da lei, misura confermata dal tribunale del riesame. A conclusione del processo di primo grado il giudice Nuvoli ha accolto la richiesta di condanna del pm Giovanni Porcheddu e dell’avvocato di parte civile Luigi Esposito.

La difesa. L’avvocato difensore Pietro Diaz ha parlato di «sentenza errata» in un processo nato da una «denuncia non provata». In riferimento al Gps, Diaz spiega: «Non è un atto persecutorio, né fattualmente né giuridicamente. Non lo è secondo la dottrina, secondo la giurisprudenza e soprattutto secondo la legge». Ricorrerà in appello.

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