La Nuova Sardegna

Sassari

“Pizzino” con targhe di auto da bruciare

di Luca Fiori
“Pizzino” con targhe di auto da bruciare

Dopo un anno svolta nelle indagini sul rogo di tre vetture. Carta incastrato da un’impronta e da un appunto su un biglietto

21 febbraio 2018
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SASSARI. Dopo il raid incendiario messo a segno in via Pozzomaggiore aveva commesso due errori imperdonabili. Due banali disattenzioni - un’impronta digitale lasciata sul luogo del delitto e un foglietto con le targhe delle auto da bruciare ritrovato nella casa in cui viveva - che dopo quasi un anno di indagini lo hanno fatto finire in manette con l’accusa di incendio.

Giovanni Carta, sassarese di 35 anni, diversi problemi con la giustizia alle spalle, la notte tra il 21 e il 22 aprile dello scorso anno pensava di aver fatto bene il suo “lavoro”. Un raid su commissione, un lavoretto di pochi secondi che gli era fruttato qualche decina di euro ma che a causa di quelle due disattenzioni potrebbe ora costargli una condanna fino a sette anni di reclusione. Ieri mattina i carabinieri del nucleo operativo, guidati dal maggiore Fabio Melci, gli hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal giudice delle indagini preliminari, su richiesta del sostituto procuratore Giovanni Porcheddu.

La notte del raid l’uomo aveva riempito di benzina una bottiglia di plastica e dopo aver cosparso di liquido infiammabile tre auto posteggiate in un cortile interno di una palazzina di via Pozzomaggiore, aveva fatto partire le fiamme e se n’era tornato a casa. Una Fiat Cinquecento era stata completamente bruciata, mentre le altre due macchine, un’altra Cinquecento e una Polo, avevano subìto danni ingenti, ma l’intervento tempestivo dei proprietari e dei vigli del fuoco aveva evitato che le fiamme le distruggessero completamente. Quando era arrivato nell’appartamento dell’amico che gli dava ospitalità Giovanni Carta aveva tolto dalla tasca il foglietto su cui erano indicate le targhe delle macchine che qualcuno gli aveva chiesto di distruggere e lo aveva lasciato su un tavolo, dopo averlo tagliato in 4 pezzi.

Non poteva sapere che pochi giorni dopo gli investigatori del nucleo operativo dei carabinieri lo avrebbero trovato e ricomposto durante una perquisizione effettuata nel corso di un’altra indagine.

Quel “pizzino”, in cui i mandanti del raid gli avevano indicato le targhe e il luogo in cui avrebbe trovato le auto da bruciare, aveva fatto partite le indagini. La prova schiacciante è arrivata quando gli investigatori del Ris di Cagliari sono riusciti a isolare una sua impronta digitale su una bottiglia abbandonata sul luogo dell’incendio. Ieri, a dieci mesi di distanza dal raid, sono scattate le manette.

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