La Nuova Sardegna

Sassari

«La mia vita rovinata dal Lido Iride»

di Daniela Scano
«La mia vita rovinata dal Lido Iride»

Parla l’imprenditore che vinse l’appalto. «Un processo ingiusto, il fallimento, adesso pretendo di riavere la caparra»

14 maggio 2018
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SASSARI. «Qui è iniziato tutto, qui dovrebbe finire questa storia. Però non è giusto. La Regione mi deve restituire almeno l’assegno che staccai quando vinsi il bando». Un uomo si aggira tra le rovine del Lido Iride di Platamona rivendicando una caparra di 32 milioni di vecchie lire che nessuno gli restituirà mai. Lui lo sa anche se continua a pretenderli con la testardaggine che gli ha salvato la vita. «Quei 32 milioni li rivoglio perché sono miei – scandisce le parole –. E li pretendo anche se non sono niente in confronto ai milioni di euro che ho perso in questa storia, insieme alla mia società». Quest’uomo si chiama Luigi Silanos, ha 78 anni, negli anni Ottanta gestiva a Sassari un piccolo impero fatto di concessionarie d’auto di lusso, autofficine, proprietà immobiliari. «Centoventi dipendenti, tutti in regola» ci tiene a precisare prima di raccontare i venticinque anni trascorsi a fare la spola tra i giudici fallimentari e studi degli avvocati.

Avere vinto la gara d’appalto per la gestione del Lido Iride di Platamona, racconta Silanos, nei primi anni Novanta scatenò un’ondata di invidia che a sua volta innescò un incubo kafkiano e rimasto tale pur essendo finito con una vittoria piena.

Bastò un esposto grondante insinuazioni, presentato da uno dei 34 concorrenti esclusi, e quella gara regionale vinta a pieno titolo e aggiudicata («avevo comprato anche gli ombrelloni e le sdraio – si lamenta –, le porte zincate per le cabine. Era tutto pronto, è ancora tutto stoccato nei magazzini») si trasformò nel peggiore disastro. Le banche bloccarono i fidi, le grandi case automobilistiche si raggelarono, alla faccia della presunzione di innocenza. «Senza liquidi non potevo pagare i dipendenti e dopo un po’ qualcuno presentò istanza di fallimento. Non ce l’ho con loro» racconta Silanos.

La slavina si era appena mossa dal pendio. Negli anni ci fu un processo per corruzione, celebrato a Palermo perché l’altro accusato era un magistrato. Nel 1997 Luigi Silanos uscì a testa alta dal tribunale di Palermo insieme al suo coimputato. Assolti perché il fatto non sussiste. La piena riabilitazione non servì a evitare che la procedura fallimentare continuasse per la sua strada, travolgendo una delle tre società, quella che portava il suo nome. «È finita che con le altre due, ho pagato fino all’ultimo centesimo e ne sono uscito – racconta fiero –. Ho dovuto vendere qualcosa ma ho salvato il resto». Nel frattempo sono passati venticinque anni che per Luigi Silanos, per sua moglie Giovanna, per i loro figli sono stati una traversata nel deserto.

Un altro al posto suo, si godrebbe la vita e l’affetto della famiglia. Invece no. Oggi che il Lido Iride è stato assegnato ad altri, l’ex imprenditore chiede che la Regione gli restituisca almeno la caparra. «Ricordo che consegnai l’assegno a un certo dottor Ghiani – ricorda –. Bene, quell’assegno lo rivoglio indietro perché è mio». Sarebbe la prima volta che un ente pubblico paga i suoi debiti a Silanos. Già, perché in questa storia senza colpevoli, e con una sola vittima, si nasconde un’altra grande ingiustizia. Lo Stato è debitore di milioni di euro nei confronti di Luigi Silanos. Quanti siano, non lo sa neppure lui. Quando era sulla cresta dell’onda, l’imprenditore sassarese aveva il suo amuleto che lo riportava alle umili origini («padre carrozziere, mamma e dieci tra fratelli e sorelle») che lo tenevano con i piedi per terra. Il suo talismano era il servizio di soccorso auto che gestiva personalmente, aiutato da qualche operaio, per conto dell’Aci e di carabinieri, polizia, prefettura, Finanza, polizia locale. Quando c’era da spostare un veicolo, ovunque nel Sassarese tutti chiamavano Luigi Silanos e lui, a qualsiasi ora, si metteva alla guida del carro attrezzi. «Non pagava nessuno e non me ne preoccupavo – racconta –. Quando però sono finito nei guai, mi aspettavo che lo Stato mi restituisse una parte dei soldi che mi doveva per decenni di lavoro». Non è stato così e per questo, oggi, quell’assegno da 32 milioni di lire è così prezioso.

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