La Nuova Sardegna

Sassari

Il giornalista sardo? Precario e insoddisfatto

di Antonio Meloni
Il giornalista sardo? Precario e insoddisfatto

L’identikit emerge dall’indagine realizzata dall’Unione cattolica stampa italiana Dei 1888 iscritti all’ordine solo 224 quelli che lavorano a tempo indeterminato

20 maggio 2018
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SASSARI. Precario, insoddisfatto e con un reddito irrisorio, ma certo che la professione giornalistica sia indispensabile per la crescita culturale e la tenuta democratica. La maggior parte degli intervistati dice che l’Ordine dei giornalisti deve essere ripensato per garantire maggiore tutela e vigilare sull’autonomia dell’informazione.

L’identikit del giornalista sardo che emerge dall’indagine realizzata dall’Ucsi è l’immagine impietosa dentro uno scenario in cui lo spazio per l’ottimismo è davvero risicato. Emerge dall’ultimo rapporto sull’informazione in Sardegna presentato ieri, nella biblioteca del seminario arcivescovile, dai giornalisti Mario Girau e Alessandro Zorco, affiancati dall’arcivescovo Gian Franco Saba e dal presidente dell’Ucsi Andrea Pala.

Per realizzare il report, una squadra di sei giornalisti ha lavorato diversi mesi sentendo 263 colleghi, per la maggior parte uomini, tra i 55 e i 70 anni, che hanno risposto a un questionario studiato con l’intento di disegnare lo scenario dell’informazione nell’Isola. L’indagine, aggiornata a ottobre scorso, con dati comparati tra Ordine, Assostampa e Inpgi, presenta una situazione drammatica che conferma lo stato di estrema difficoltà di un settore in cui l’avvento delle nuove tecnologie si è fatto sentire pesantemente.

Dei 1888 iscritti all’Ordine, 578 professionisti e 1320 pubblicisti, sono 762 i precari con poche sicurezze a fronte dei 224 contrattualizzati a tempo indeterminato. Ancora, appena ventotto i praticanti, 179 i pensionati e 30 corrispondenti di testate nazionali che spesso hanno già contratti con altri giornali. «Da qui la necessità – ha spiegato Alessandro Zorco – che l’azione degli organismi di rappresentanza tenga conto della platea sempre più ampia di colleghi privi di garanzie».

Sintomatico, al riguardo, il fatto che la quasi totalità dei giornalisti che ha risposto al questionario sia precaria o disoccupata, il 40 per cento ha un rapporto di collaborazione, il 23 un contratto a tempo determinato e il 19,5 per cento non lavora affatto. Quanto alla tipologia contrattuale, il rapporto Ucsi conferma che in Sardegna prevalgono i freelance, divisi tra mille piccoli incarichi (24,6%) e i collaboratori storici delle due testate cartacee sarde (23,4%), ma molti precari sono anche professionisti espulsi dal mercato. Avvilente il capitolo relativo ai compensi se si considera che il 42,1 per cento ha dichiarato di guadagnare meno di duemila euro l’anno mentre un altro 23,2 per cento si colloca nella fascia tra i 2000 e i 7000 euro e solo il 10 per cento oscilla tra i 15 e i 25mila euro.

Ma per cogliere a pieno lo stato d’animo dei giornalisti sardi, è significativo ragionare sulle risposte relative ai meccanismi di assunzione nelle testate isolane se è vero che tutti gli intervistati si dicono convinti sia necessario ricorrere alle raccomandazioni. Con l’unica divisione tra chi sostiene che per trovare lavoro in un giornale sardo sia necessario essere bravi e contare su raccomandazioni (48,4 per cento), e chi crede che la bravura non conti nulla e che valgano solo conoscenze e amicizie giuste (34,5).

Durante il dibattito, aperto dopo la presentazione del report, è emersa da più parti l’esigenza di revisione dell’Ordine dei giornalisti e degli organismi di rappresentanza tenuto conto del fatto che il 65 per cento dei 263 giornalisti intervistati (circa 170) non può mantenersi con la sola attività giornalistica. La riflessione, proposta in modo volutamente provocatorio da Mario Girau, è quanto questa situazione possa influire sul futuro dell’informazione in un momento storico difficile in cui i diritti fondamentali sono spesso messi in discussione.

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