La Nuova Sardegna

Sassari

Carcere 2.0: il reinserimento è anche tecnologia

Antonio Meloni

Il garante nazionale Palma cita l’esempio dei papà reclusi che fanno i compiti con i figli grazie a Skype

20 giugno 2018
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SASSARI. Recupero del detenuto e tecnologia vanno di pari passo, è impensabile programmare la riabilitazione sociale vietando l’accesso alle opportunità offerte dall’era digitale per conoscere il mondo.

Ne è convinto Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti, intervenuto ieri al convegno organizzato dall’ateneo turritano nell’aula magna del rettorato. Un evento importante, pensato per fare il punto sul ruolo centrale dello studio nel momento delicato del reinserimento sociale.

Durante i lavori del convegno, aperto con i saluti del rettore Massimo Carpinelli e del sindaco Nicola Sanna, è emerso che a Bancali, come in altri istituti, i carcerati non hanno accesso alle nuove tecnologie: «Mi chiedo – ha detto Palma – come si possa pensare al reinserimento quando il detenuto perde il collegamento con la realtà». Il problema si pone in particolare per quei casi in qui la pena prevede lunghi periodi detentivi durante i quali il carcerato perde completamente il collegamento con l’esterno.

Il recupero. «Il pieno recupero di un individuo privato della libertà personale – ha proseguito infatti il garante nazionale per i detenuti – passa attraverso il rispetto del diritto alla comprensione che non è solo quello di carattere linguistico, quando si tratta di reclusi stranieri, ma in senso più lato la capacità di saper interpretare una realtà che cambia a ritmi vertiginosi».

I figli. Nel carcere di Venezia, per esempio, uomini e donne, grazie a Skype, possono fare i compiti con i loro figli collegati da casa. Un sistema semplice, ma straordinario, per continuare a partecipare alla vita familiare e stabilire, al contempo, un collegamento con il mondo esterno in cui, prima o poi, si deve tornare.

«Dovremmo declinare meglio il termine rieducazione – ha proseguito Mauro Palma – perché se non si danno strumenti capaci di diminuire la distanza si rischia di offrire l’idea di una realtà falsificata compensata da un insieme di attività che non preparano al ritorno alla vita reale».

Sovraffollamento. A margine dei lavori, il garante nazionale dei detenuti, reduce da una intensa settimana di incontri istituzionali, ha trattato anche il tema del sovraffollamento. In Italia, su circa 59 mila detenuti, sono 5400 quelli con sentenze inferiori a un anno di detenzione che salgono a novemila se sommati a quelli con pena residua inferiore ai dodici mesi. «Per questa e altre ragioni – ha concluso Palma - è opportuno pensare a pene alternative che permettano di ridurre quei numeri e preparino al ritorno alla normalità». Al riguardo l’Università di Sassari, da 14 anni impegnata sul versante dell’inclusione, ha attivato da tempo un programma destinato agli studenti detenuti. Durante la mattinata, Emanuele Farris, delegato del rettore per il polo penitenziario, ha presentato i dati relativi a questa attività che consente a una quarantina di detenuti, ogni anno accademico, di studiare in 14 differenti corsi di laurea.

Università e carcere. Per questo progetto, che nell’ultima sessione ha visto arrivare alla laurea 4 studenti, l’ateneo ha destinato 220 mila euro e nell’ultima seduta il senato accademico ha approvato il nuovo regolamento che ha un titolo specifico dedicato all’integrazione degli studenti con esigenze speciali.

Che le esigenze siano speciali per i detenuti che decidono di cominciare o proseguire gli studi, non ci sono dubbi. Nell’ultimo periodo, infatti, le carceri sono luoghi sempre più internazionali, basta considerare il fatto che solo a Sassari circa il 35 per cento dei 470 detenuti reclusi a Bancali, è rappresentato da stranieri tra nigeriani, marocchini, tunisini e qualche senegalese. Poi ci sono gli europei tra i quali albanesi e rumeni costituiscono la componente più numerosa.

«“Il carcere – spiega infatti Mario Dossoni, garante per i detenuti del Comune di Sassari – ripropone la composizione della realtà esterna sempre più multietnica e questo è un fatto non più episodico, ma ormai sistemico, specchio ulteriore della realtà circostante».

Diversi gli interventi nel corso della mattinata, da Ilenia Troffa, funzionario giuridico-pedagogico del carcere di Bancali a Paola Sechi, docente di diritto penitenziario nell’università di Sassari. Ancora, Daniele Pulino dell’Osservatorio sociale sulla criminalità, Zena Orunesu, dell’Ordine forense, Francesco Sini del dipartimento di giurisprudenza e Franco Prina, delegato per il polo penitenziario nell’università di Torino.

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