La Nuova Sardegna

Sassari

Monsignor Angelo Becciu: «Alla Sardegna serve un progetto. Soffro per i disoccupati»

di Gianni Bazzoni
Monsignor Angelo Becciu
Monsignor Angelo Becciu

Il cardinale in Sardegna per la prima volta dopo la nomina: «Grande emozione. La politica superi le divisioni e lavori per risolvere i problemi e ridare speranze»

30 agosto 2018
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PATTADA. Il ritorno nel suo paese nel giorno della festa di S. Sabina, quando arrivano i pattadesi che stanno fuori, anche quelli più lontani. Oggi è anche la sua festa: Angelo Becciu torna da cardinale e non dimentica le origini umili, la famiglia, gli amici. Parla a tutto campo della Sardegna, delle difficoltà e delle speranze. Ma anche dei temi forti che scuotono la Chiesa, della pedofilia, dei migranti, della politica.

Che sensazioni prova nel tornare a Pattada nel giorno della festa patronale, sempre molto sentita, che coincide anche con i festeggiamenti in suo onore dopo la nomina a cardinale?
«Un misto di sensazioni di gioia, nostalgia, serenità e senso di appartenenza comunitaria pervade il mio animo ogni volta che rientro nel paese natìo tra la mia gente e i luoghi della mia infanzia. Particolarmente nel giorno della festa di S. Sabina che per tradizione, è il periodo del rientro dei pattadesi che vivono fuori e del rinnovo della fede ai piedi della Santa Patrona».

Qual è il suo rapporto con la famiglia, in particolare con i suoi fratelli ai quali sappiamo essere molto legato?
«Si, è vero; siamo una famiglia unita. Ritengo che l’esperienza dell’emigrazione di nostro padre sin da quando eravamo piccoli, unitamente al valore dell’unità familiare trasmessoci dai nostri genitori, abbiano inciso sul legame tra noi 5 fratelli. Ritengo, inoltre, che il mio stare lontano a servire la Chiesa in varie parti del mondo abbia consolidato il legame unitario e il radicamento alle origini familiari».

Cosa ricorda della sua infanzia nel piccolo paese del Logudoro?
«Tanto. Dai colori delle campagne, agli odori della natura, alle feste comunitarie attorno a semplici eventi di vita, alla vita dura dei pastori e degli agricoltori, ai cambiamenti del paese nel dopoguerra, al fenomeno dell’emigrazione che spopolava la nostra comunità, alla centralità della chiesa nella vita della comunità. All’educazione progressiva alla fede in casa e con bravi sacerdoti, al cammino di formazione a scuola con maestri e compagni di classe, ai giochi in strada, alla solidarietà tra le famiglie nei momenti di gioia e di dolore».

Ci parli della vocazione, come è nata?
«Sin da piccolo sentivo che il mio cammino di vita sarebbe stato quello sacerdotale. In ciò hanno influito senz’altro i sacerdoti della mia infanzia, zio Toeddu, uno zio materno riconosciuto come uomo di grande fede, le diverse esperienze infantili e adolescenziali che mi portarono progressivamente a vivere l’esperienza del seminario minore sin dagli 11 anni. L’incoraggiamento dei miei, seppur non sia stato facile per una famiglia povera dover sostenere gli studi di uno dei cinque figli lontano da casa, e la “Grazia di Dio” hanno fatto il resto. Proprio in questi giorni, mi hanno voluto omaggiare della loro vicinanza una ventina di compagni di studi del seminario maggiore di Cuglieri. Con la maggior parte di essi non ci si incontrava da 52 anni. È stato bello rinsaldare l’amicizia e constatare come la Provvidenza ci abbia destinati ciascuno nel proprio cammino di vita familiare, sacerdotale, sociale».

Come si è sviluppato il percorso che l’ha portata a ricoprire cariche importantissime fino a vice-responsabile della segreteria di Stato. E in quale momento ha sentito il peso maggiore di quella missione?
«Il percorso nella vita della diplomazia vaticana è stato non progettato e non voluto se non come risposta a una precisa richiesta che venne al mio Vescovo da parte della Segreteria di Stato quando iniziavo felicemente la mia esperienza sacerdotale in Diocesi. Fu non semplice da un punto di vista emozionale aderire a una richiesta così lontana dai miei pensieri, ma in un’ottica di fede mi considerai da subito figlio della Chiesa senza confini geografici. L’adesione in spirito ecclesiale al servizio diplomatico mi ha aiutato a vivere con serenità momenti belli e difficili e ad accogliere tutto come “volontà del Signore”, inclusi gli inaspettati posti di responsabilità ai vertici della Segreteria di Stato, in momenti non facili per la vita della Chiesa».

Qual è stato e qual è il suo rapporto con la politica e i politici?
«Di grande rispetto, di stima e di … debita distanza! Il ruolo pastorale e spirituale che ricopro mi guida a giudicare la vita politica come uno dei momenti più alti del servizio di carità alla gente. In questi anni ho incontrato e continuo ad incontrare tanti politici con i quali cerco d’intervenire per incoraggiarli a servire sempre più le comunità, soprattutto i più bisognosi. Non nego di avere uno sguardo particolare per i politici della nostra terra affinché si uniscano nel risolvere i problemi endemici della regione, indipendentemente dal colore politico e dalle diverse visioni e appartenenze politiche».

Come considera oggi il livello della politica nel Paese? Cosa è cambiato rispetto a prima?
«Ritengo, come in altri tempi della nostra storia, che la politica debba riscoprire i valori alti che sono il bene comune, il rispetto dell’avversario, visioni e progettualità a lungo termine, il primato della solidarietà e il ruolo di traino culturale per le nuove generazioni».

Come vede la situazione della Sardegna da sardo che vive a Roma?
«Continuo a vedere tante eccellenze nei diversi campi e tanti mali endemici che fatichiamo a superare. L’aspetto che mi rattrista di più è l’inaccettabile livello di disoccupazione giovanile e femminile della nostra regione. Al pensiero che la nostra terra si spopola delle sue risorse giovanili migliori, diplomati e laureati, mi vengono i brividi pensando al futuro dell’isola».

E se fosse un sardo che vive qui, cosa chiederebbe a chi governa?
«Chiederei la continuità territoriale come priorità assoluta, l’investimento nella formazione e nella scuola per superare i dislivelli con le regioni del nord Italia, investimenti in settori che producano occupazione a lungo termine».

Ha mai pensato a una “ricetta per la Sardegna”?
«No. Ho sufficiente buon senso per ritenermi non all’altezza di scoprire “ricette” vincenti. So della complessità della situazione, delle reali difficoltà di chi, mosso da tanta buona volontà, fa fatica a rendere politicamente concreti i desideri. D’altra parte, non è accettabile, vista la drammaticità della situazione, che le varie forze politiche non si uniscano attorno ad un progetto di largo respiro. Com’è possibile, mi chiedo, non riuscire ad inventare una economia vincente per un milione e mezzo di persone, anche considerando il fatto delle preziose risorse della nostra terra? Parlo del turismo, di una terra come la nostra che può produrre bio in tutte le filiere, della tradizione artigianale, degli stili di vita salutari. Elementi questi che una buona fetta della popolazione abbiente del mondo cerca oggi disperatamente. Forse ci manca la capacità progettuale a medio e lungo termine. Eppure ritengo che vi siano sufficienti risorse umane per vincere questa sfida».

Il tema dei migranti e dell’accoglienza è tra i più attuali. Il caso della nave Diciotti ha fatto emergere contrapposizioni gravi, fino all’iscrizione di un ministro nel registro degli indagati con la contestazione di sequestro di persona. Per dare un contributo alle soluzioni è intervenuta anche la Cei: cosa pensa di tutta la vicenda?
«Il fenomeno è complesso e ha radici storiche che si perdono nel periodo del colonialismo in Africa. L’economia mondiale è ingiusta e tristemente disequilibrata a vantaggio di pochi. Ce lo ricorda spesso Papa Francesco. In troppi lucrano sui destini dell’umanità sofferente. I paesi ricchi si chiudono pericolosamente a difendere risorse ottenute anche e soprattutto a scapito delle popolazioni più povere. I trafficanti di essere umani proliferano con la connivenza di governi locali che traggono enormi vantaggi da tali turpi mercati. Questo è lo scenario su cui si stagliano le tristi vicende recenti a cui lei fa riferimento. A situazioni complesse non si può rispondere con pericolose semplificazioni o con pseudo soluzioni a breve termine. La sofferenza di una sola persona merita rispetto e attenzione».

E a proposito della Cei, in che modo si pone rispetto allo Stato italiano in una emergenza così grave e complessa?
«Come una realtà di Chiesa che è pronta a rispondere a richieste che provengono dallo Stato o da parti della società per risolvere problemi soprattutto se di emergenza umanitaria».

Può dire qualcosa, anche solo il suo pensiero, sulle accuse rivolte al Papa dall’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò che ha chiesto le dimissioni del Santo Padre. Viganò lo accusa di avere coperto gli abusi del cardinale McCarrik sui seminaristi…
«Triste vicenda che mi fa sentire ancor più vicino a Papa Francesco. Per quanto riguarda il merito della questione faccio mie le sue parole “… si commenta da sé!”.

Cosa può fare e la Santa Sede per contrastare il fenomeno della pedofilia, considerato uno dei drammi più devastanti cresciuti al suo interno?
«A partire da papa Benedetto e da papa Francesco si è detta una parola definitiva: “Basta!” È il misfatto più atroce che si possa commettere. C’è da interrogarsi quale messaggio Dio abbia voluto inviarci con uno tsunami del genere: è questa la Chiesa che Gesù vuole o vi è molto da riformare al suo interno? Non è possibile che vi abbiano potuto prosperare mostri terribili quali sono i preti pedofili. Purtroppo paghiamo una sottovalutazione storica del fenomeno e una visione non realistica della sua entità e gravità. Dobbiamo fare tutto il possibile per prevenire e combattere simile flagello. Per prevenire bisogna selezionare e formare meglio il clero favorendo percorsi di maturità umana, affettiva e sessuale in contesti di vita normale e naturali. Sarà necessario coinvolgere totalmente il potere giudiziario dei Paesi dove accadono tali crimini e contrastare una mentalità pseudospirituale che ha favorito la copertura di tali nefandezze».

Quale messaggio vuole inviare ai fedeli della Sardegna?
«È un semplice messaggio di incoraggiamento. Non lasciamoci perturbare da scandali o da critiche contro la Chiesa. Il momento attuale è difficile, ma questi non sono mai mancati nella sua storia e sempre li ha superati confidando nel Signore e rimanendo uniti ai propri Vescovi e al Papa».

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