La Nuova Sardegna

Sassari

«Cerchiamo di restituire a ciascuno un po’ di dignità»

«Cerchiamo di restituire a ciascuno un po’ di dignità»

Il racconto di Gianfranco Addis responsabile dei centri di ascolto diocesano L’impegno al fianco di chi ha perso tutto. «Chi bussa chiede di essere amato» 

23 settembre 2018
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SASSARI. «Guardare negli occhi la persona che viene a chiederci aiuto significa riconoscergli pari dignità e aiutarla a riscoprirsi portatrice di dignità è un dono prezioso». Gianfranco Addis, sassarese di 56 anni, sposato, due figli e un lavoro nel settore delle comunicazioni, ha deciso che guardare negli occhi chi è in difficoltà e vedere che da uno sguardo triste può nascere un sorriso, vale più di qualsiasi ricompensa in denaro.

Responsabile diocesano della dei centri di ascolto della Caritas, Gianfranco ogni giorno insieme ai volontari delle varie strutture si occupa di un esercito sempre crescente di persone che hanno bisogno di tutto.

Cosa vuol dire fare il volontario della Caritas?

«Significa frequentare una scuola di vita senza uguali in cui i docenti sono i poveri che ti insegnano ad uscire da te stesso. Significa capire l’uomo e la donna di oggi e avere sguardi capaci di andare in profondità oltre l’apparenza e gli stereotipi».

Cosa fa esattamente la Caritas in città?

«La Caritas è il luogo in cui si incontrano le povertà guardando le persone negli occhi, chiamandole per nome, conoscendo il volto e la storia. Per questo oltre ad una sempre più adeguata formazione è necessaria la povertà del cuore».

Sassari è uno dei luoghi in cui la povertà sta crescendo?

«Il problema più preoccupante è quello rappresentato dai cosiddetti nuovi poveri, quelli che sono caduti in disgrazia a causa del gioco o di una separazione e non sanno assolutamente come gestire il problema.

Cosa chiede chi bussa alla vostra porta?

«Ogni persona che si rivolge al centro di ascolto, prima ancora del bisogno primario che manifesta è portatrice di bisogno di essere amata».

Ma l’amore non basta quando ci sono le bollette da pagare.

«È vero e cerchiamo di risolvere anche quel tipo di problema. Ma il metodo che la Caritas ha deciso di adottare negli ultimi anni privilegia l’ascolto con discernimento e progetto verso le persone disposte a farsi accompagnare in un percorso e orienta quelle con richieste urgenti prevalentemente di tipo economico verso altre strutture».

In tanti anni avrà visto di tutto, ma c’è qualche storia che l’è rimasta impressa?

«Quella di una ragazza che nel racconto inviato per il dossier regionale ho chiamato Speranza perché la sua vita è un inno alla Speranza. Nata in una famiglia con un padre violento, affidata con i fratelli a strutture di accoglienza, Speranza ha avuto la capacità di crescere e gestire la propria vita senza cadere nelle dipendenze, come è capitato a un fratello, riuscendo a laurearsi, nonostante la maternità, e a riaccogliere la madre che sostanzialmente li aveva abbandonati».

Quali sono le cose più tristi che vede un volontario della Caritas a Sassari?

«La solitudine e la disperazione con cui si ritrovano a convivere molti uomini che dopo la fine di un matrimonio si ritrovano per strada. Sono tanti, più di quel che si creda, che anche nella nostra città non sapendo dove andare dormono in macchina e per pudore e vergogna non riescono a chiedere aiuto».

Le vostre porte però sono aperte a tutti?

«Le porte si aprono ogni giorno, senza periodo di ferie, grazie alla presenza di numerosi volontari che mettono a disposizione parte del proprio tempo e la propria professionalità. E questa ricchezza la si nota soprattutto quando fisiologicamente cala il numero e si fatica a coprire i vari turni necessari».

Perché rinunciare al proprio tempo libero per aiutare gli ultimi?

«Dare da mangiare, da vestire, offrire ospitalità in un letto, la possibilità di curare la propria igiene, non è filantropia, va oltre la stessa solidarietà, è questione di giustizia». (l.f.)



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