La Nuova Sardegna

Sassari

La casa degli “ultimi” 20 anni in prima linea a curare corpi e cuori

di Giovanni Bua
La casa degli “ultimi” 20 anni in prima linea a curare corpi e cuori

La struttura fondata da Padre Morittu apre le sue porte «Per ringraziare, ma anche perché la battaglia non è vinta»

26 settembre 2018
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SASSARI. Antonello ha 66 anni, e da 4 vive in quella che lui considera la sua famiglia. Giuseppe inizia ogni mattina con un lungo abbraccio, perché «qui ho trovato la pace». Pierpaolo ha una figlia e due nipotini che lo aspettano fuori «ma sono contenti di sapermi qui. Ho girato cinque comunità, ora sono a casa». Sono gli “ultimi”, gli unici che la casa famiglia Sant’Antonio Abate, la sola struttura nell’Isola ad offrire assistenza ai malati di Aids, accetta da 20 anni. Dal 1998 ha ospitato, assistito e curato 83 persone, 12 donne e 71 uomini, tutti colpiti da Aids conclamato, 56 di loro sono morti, dodici sono ospitati in questo momento tra le calde mura del convento francescano di Sant’Antonio Abate, con 10 operatori e 52 volontari che curano i loro corpi straziati dalla malattia, ma soprattutto nutrono i loro cuori,

Vent’anni “compiuti” lo scorso 27 giugno, e celebrati con un’udienza di tutti gli ospiti con papa Francesco. «Vent’anni – sottolinea Padre Salvatore Morittu – che di nuovo celebriamo, con un concerto, un convegno. Con il ringraziamento a tutti quelli che rendono possibile ogni giorno il nostro impegno. Ma soprattutto con la convinzione che più di quello che è stato fatto conta quello che c’è ancora da fare. Perché l’Aids non è sconfitta. E, nonostante la scienza vada avanti, nella conoscenza della malattia tra i giovani, nella percezione che le persone ne hanno, si stanno facendo addirittura dei passi indietro. Si tende a non preoccuparsene nella convinzione che il problema riguardi solamente alcune categorie di persone – tossicodipendenti, omosessuali, prostitute – mentre è necessario far cadere stereotipi e pregiudizi diffusi e radicati, che portano a ignorare il problema o a ingigantirlo. Serve pensare, parlare, agire».

Parole di uno che, con la sua associazione Mondo X, ha passato la vita in prima linea. Da quando nel 1980, ha dato vita alla prima comunità di recupero per tossicodipendenti a Cagliari, nel convento di San Mauro. Nel 1982 nasce S’Aspru, nelle campagne di Siligo. Nel 1985 Campu ’e Luas ad Uta, oggi gestita da un’altra associazione. E proprio nel 1985 i primi ragazzi delle comunità iniziano ad ammalarsi di una “strana” infezione, con nessuna cura. Da uno screening su tutti gli ospiti delle tre comunità gestite da Mondo X il 52% di loro risulta positivo alla Lav, così era chiamato allora il virus. E nonostante a padre Salvatore venga suggerito dì mandar via dalle comunità i giovani ammalati, è proprio la volontà di non abbandonare quei ragazzi a indicargli la strada. «Non avevo più brani del Vangelo da leggere nel corso degli innumerevoli funerali che celebravo per i miei ragazzi. Non trovavo più le parole per comunicare alle loro famiglie che quei figli che mi avevano affidati per esser restituiti loro resuscitati, li accompagnavo invece verso il camposanto» racconta.

Negli anni 90 il boom dell’Aids spaventava intere generazioni. In Sardegna le morti aumentavano e nel 1995 una straordinaria gara di solidarietà ispirata da padre Paolo Cocco, custode del convento francescano di Sant'Antonio Abate col supporto di Bruno Porcu, volontario storico dell'associazione, cerca di dare una risposta. Centinaia di generose mani donano, e si raccoglie l’incredibile cifra di 1 miliardo e 800 milioni. Con cui padre Morittu, trasforma il Convento in quella che oggi è la Casa. «Grazie alla ricerca e alle nuove terapie antiretrovirali, la malattia si è cronicizzata e prendersi cura dei malati di Aids non è più solo curare ma significa dare un senso alla malattia, al restante tratto di vita da percorrere – racconta la responsabile della struttura Sandra Buondonno, presente ieri insieme all’e x direttore Pinuccio Cannas, al vice presidente di Mondo X Tullio Torru e alle volontarie Rita Salaris e Rossana Piredda –. Oggi, nella Casa Famiglia operatori, volontari, medici e quanti si avvicinano alla Casa e ai suoi ospiti, si impegnano a far riscoprire loro la quotidianità, l’armonia, la leggerezza, ma operano sopratutto per costruire una vera famiglia fatta di affetti e condivisione».

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