La Nuova Sardegna

Sassari

I vescovi di Sassari e Cagliari alle istituzioni «Date speranze ai giovani»

di Giovanni Bua
I vescovi di Sassari e Cagliari alle istituzioni «Date speranze ai giovani»

L’appello di Miglio e Saba parte dal capoluogo turritano: uno dei punti nevralgici della crisi

31 ottobre 2018
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SASSARI. Non è il “solito” documento. È un invito, un richiamo, un manifesto. Indirizzato alle diocesi, alle classi dirigenti, alla comunità. È sempre più energica ed evidente la discesa in campo della Chiesa nell’agone politico isolano e nazionale. Guidata da un papa “con gli scarponi”, che invita a smetterla di «pettinare sempre la stessa pecora». E declinata sul territorio da un’avanguardia di vescovi che, con sempre meno fronzoli, vanno dritti al cuore dei problemi, e vogliono essere protagonisti nel cercare di risolverli.

Come quello di Sassari, Gian Franco Saba, che ieri ha aperto le porte del seminario cittadino per ospitare la presentazione del “messaggio della conferenza episcopale sarda alle chiese e alla società della Sardegna”. O come quello di Cagliari, Arrigo Miglio, che l’assemblea dei vescovi isolani la presiede, e che ieri ha parlato con passione e competenza di «giovani, lavoro e speranze per il futuro».

Sassari. «Abbiamo scelto Sassari – ha spiegato l’arcivescovo Saba – perché qui questo messaggio è stato rifinito nei scorsi giorni, insieme al nunzio apostolico per l’Italia, Emil Paul Tscherrig. E perché Sassari è uno dei punti nevralgici di una grande crisi sociale. Di un’industria che non c’è più, e ha lasciato dietro di sè sacche di povertà profonda, visibili a occhio nudo passeggiando per le vie della città. Piena di vere e proprie periferie, urbanistiche ed esistenziali».

Lavoro. Periferie che possono rinascere partendo innanzitutto dal lavoro. «Per i giovani significa poter fare dei progetti e realizzare i loro sogni – spiega monsignor Miglio – E, come vescovi, siamo chiamati a ribadire la necessità di un impegno incessante delle istituzioni politiche perché si creino tutte le condizioni per favorire la piena occupazione. Il lavoro è necessario non solo come mezzo di sussistenza ma anche come condizione imprescindibile per conferire dignità alla persona. Il lavoro va assicurato a tutti come via di piena realizzazione personale e integrazione sociale. E soprattutto ai giovani sardi, i più colpiti da un decennio di crisi che ha rallentato il loro ingresso nella “vita”, bloccandone la mobilità sociale e forzandone quella migratoria».

Impegno. Lavoro dunque, che anche la Chiesa deve creare in ogni maniera possibile. «Ci sono progetti come Policoro, che in 15 anni di attività ha promosso nel Sud la nascita di oltre 500 tra consorzi, cooperative e piccole imprese – continua Miglio – Ci sono diocesi nell’Isola che stanno mettendo a disposizione i loro terreni per farli coltivare da cooperative sociali. C’è un enorme patrimonio di beni culturali da valorizzare e mettere a correre. E enormi cubature inutilizzate da far rifiorire. Ci sono buone pratiche da ricercare, ma soprattutto da applicare in prima persona. Uscendo dalle sacrestie, e mettendo il proprio mattone per ricostruire».

Formazione. Ma non basta. Per far accedere i giovani al mondo del lavoro serve formazione. «I giovani laureati – spiega l’arcivescovo di Cagliari – sono quelli che in Sardegna trovano meno opportunità e più spesso emigrano. E dall’altra parte alle imprese mancano professionalità specifiche, È quindi urgente un rinnovato impegno nell’organizzazione della formazione professionale, in particolare per i lavori legati alle potenzialità dell’Isola, come il turismo, l’enogastronomia, l’agricoltura, la pesca, l’artigianato. Necessita di migliore considerazione il rapporto scuola-lavoro e, più in generale, un adeguato sostegno alle famiglie nel loro impegno educativo. Temi come la dispersione scolastica e i Neet (i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) costituiscono aspetti imprescindibili di qualsiasi programma di sviluppo delle nostre comunità».

Il disagio. E da quest’asse portante fatto di giovani e lavoro i vescovi sardi dipanano il loro “manifesto”. Che tocca tutti le ferite aperte dell’Isola. Ed esplora tutte le vie per una possibile soluzione. E dunque attenzione massima per l’allarme sociale reso plastico da tossicodipendenza, alcoolismo e ludopatia, disagio e devianze giovanili. Ma monito a non ingigantire problemi come quello dell’immigrazione. «Nel 2017 – spiega Miglio – le persone accolte risultavano poco più di 5mila. Una cifra contenuta, come peraltro quella dei residenti, e che non giustifica il clima di preoccupazione diffuso anche nell’Isola, che lega in maniera riduttiva il fenomeno della mobilità umana alla questione sicurezza. Al limite bisogna interrogarsi come queste persone vadano accompagnate, fatte crescere, integrare, camminare. E difendere il diritto d’asilo, che rischia di essere fortemente ridotto».

Sempre di meno. E ancora dito puntato sul calo demografico e sullo spopolamento «Figlio di politiche sbagliate, che partono da lontano». Ma anche sull’insularità, che «determina non solo un aumento dei costi, ma anche discontinuità, ritardi e debolezze nelle connessioni e nei processi di diffusione dello sviluppo». E quindi focus sui trasporti, interni e verso l’Italia e l’Europa. E poi il rispetto della natura e dell’ambiente. Sia dal punto di vista di tutela e difesa del territorio, che da quello di possibile volano per creare nuovi posti di lavoro.

In prima linea. E infine l’invito alla partecipazione alla vita politica attiva, come elettori ma anche come candidati. «Un invito che rivolgiamo ai credenti, ma, come persone interessate al bene comune della nostra società, estendiamo a tutti. Dobbiamo sconfiggere l'astensionismo. Ma anche partecipare in prima persona alla vita politica. Perché la fede cristiana è mutilata se non si traduce in “carità politica”. L’impegno è parte fondamentale del vangelo. E la generosità di chi si occupa delle conseguenze delle ingiustizie è marginale senza il tentativo di andare a risolvere le cause delle ingiustizie stesse. Ma è la vita di tutti a essere incompleta se non si mette al primo posto l’impegno per risolvere i problemi profondi della propria comunità».

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