La Nuova Sardegna

Sassari

Donne schiave, chiesti 180 anni per 11 imputati

Donne schiave, chiesti 180 anni per 11 imputati

Processo sul racket della prostituzione: cambia la corte d’assise e il pm replica la requisitoria del 2016

13 novembre 2018
2 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. «Donne come fantasmi clandestini privi di identità, in balìa dei loro carnefici, proprietà dei padroni che le acquistavano fino a ridurle a una condizione di schiavitù fisica e psicologica». Erano state parole pesanti quelle che a dicembre del 2016 aveva pronunciato il pubblico ministero della Dda di Cagliari, Paolo De Angelis. Ieri mattina, davanti a una corte d’assise rinnovata (ora il presidente è Massimo Zaniboli) il pm ha usato le stesse parole concludendo la seconda requisitoria nel processo scaturito dall’operazione “Terra Promessa” sul racket della prostituzione tra Sassari e la Gallura. Dall’inchiesta era emerso chiaramente il dramma personale vissuto dalle donne vittime di uomini senza scrupoli disposti a venderle al miglior offerente. La richiesta di condanna per gli 11 imputati (difesi dagli avvocati Maurizio Serra, Nicola Lucchi, Carlo Pinna Parpaglia e Salvatore Castronuovo) è esemplare: 180 anni complessivi di reclusione con pene individuali che vanno da un massimo di 18 anni a un minimo di 11.

De Angelis ha ricostruito con dovizia di particolari i dialoghi drammatici delle donne nigeriane «che da soli bastano a considerare colpevoli gli imputati oltre ogni ragionevole dubbio». Diciassette in tutto le persone che nel 2006 furono arrestate dai carabinieri con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Il pm della Dda ha illustrato, così come aveva fatto in precedenza, la fitta rete di rapporti che legava gli imputati attraverso una mappatura dei diversi paesi europei nei quali i presunti sfruttatori si spostavano. La donna che per prima nel 2006 denunciò ai carabinieri il racket della prostituzione – di cui purtroppo era rimasta vittima – studiava Economia all’Università di Delta State, in Nigeria. Lo aveva fatto fino a quando non era caduta, suo malgrado, nella trappola di un’associazione per delinquere che le aveva sconvolto la vita. La 29enne nigeriana a un certo punto aveva avuto la fortuna di incontrare un uomo perbene del quale si era innamorata e alla fine l’aveva salvata convincendola a denunciare tutto ai carabinieri di Olbia. E così era stato scoperchiato un regime associativo fatto di esportatori e importatrici, con una cupola e vari componenti ai quali veniva affidato un ruolo ben definito. (na.co.)

La Sanità malata

Il buco nero dei medici di famiglia: in Sardegna ci sono 544 sedi vacanti

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative