La Nuova Sardegna

Sassari

Il Tar spegne le speranze del chiosco Pedifreddu

di Salvatore Santoni
Il Tar spegne le speranze del chiosco Pedifreddu

Rigettato il ricorso contro l’ordinanza di demolizione del Comune di Sorso Giorni contati per la struttura realizzata tra le dune e il parcheggio del lido

06 dicembre 2018
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SORSO. Le ruspe incombono sul chiosco bar Pedifreddu. Nei giorni scorsi il Tar ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza di demolizione della struttura, dando ragione al Comune di Sorso e condannando il gestore Anna Sanna al pagamento delle spese legali. Oggi in municipio è previsto un vertice con l’assessore alla Vigilanza edilizia, Fabio Idini, e la struttura tecnica per valutare come e quando intervenire sulla struttura che sorge tra le dune e il parcheggio del lido di Sorso.

La storia. I guai per Pedifreddu sono cominciati nel mese di settembre del 2011, quando l’amministrazione comunale ha firmato un’ordinanza di demolizione per contestare e smantellare gli abusi edilizi. La situazione si è trascinata per anni, fino al 2016, quando dal municipio di piazza Garibaldi è partita una comunicazione di avvio del procedimento per dare corso all’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi. A quel punto la demolizione di Pedifreddu è finita nel calderone di altri interventi di bonifica lungo la fascia costiera di Platamona, e altri due anni sono trascorsi mentre il Comune andava alla ricerca di una ditta che eseguisse le demolizioni.

Il ricorso. Nel mese di febbraio di quest’anno, Anna Sanna decide di ricorrere al Tar per bloccare le ruspe. Si affida ai legali Michele Torre e Lia Casu, che riescono a guadagnare tempo chiedendo una sospensiva, bocciata dallo stesso Tar ma accolta dal Consiglio di Stato.

La questione è quindi ritornata al Tar che ha deciso nel merito. Durante la discussione del caso gli avvocati di Anna Sanna prima di tutto hanno lamentato un vizio di notifica dell’ordinanza. Il collegio formato dai giudici Francesco Scano (presidente), Marco Lensi (consigliere, estensore) e Grazia Flaim (consigliere) ha accertato che in realtà il Comune ha effettuato la notifica. Non ad Anna Sanna bensì al marito, Antonello Fadda, che però poche settimane prima di ricevere l’ordinanza aveva già donato l’azienda alla moglie.

In ritardo. L’amministrazione comunale, rappresentata dall’avvocato Federico Isetta, ha fatto valere la sua posizione. In sostanza i giudici hanno ritenuto corretta la notifica del Comune poiché proprio su Fadda ricade la responsabilità degli abusi contestati. «Nessuna particolare o decisiva rilevanza – si legge nella sentenza 995/2018 – può essere riconosciuta alla circostanza che non sia stata allegata e portata direttamente a conoscenza dell’odierna ricorrente (Anna Sanna, ndc) l’ordinanza di demolizione nella sua integralità». Di qui la decisione dei giudici di ritenere il ricorso «irricevibile per tardività» perché è stato avviato nei primi mesi del 2018, quindi ben oltre i 60 giorni di tempo utile per ricorrere al Tar.

«È abusivo». Già soltanto questo punto sarebbe bastato a rendere vano il ricorso, ma i giudici vanno anche oltre, spiegando l’infondatezza della questione: «È opportuno rilevare che, anche qualora si fosse potuto prescindere dai rilevati profili di irricevibilità del ricorso, il medesimo sarebbe stato comunque infondato».

Il motivo? «Dalla documentazione da ultimo prodotto in giudizio dal Comune – si legge ancora nella sentenza – deve ritenersi sufficientemente provata la circostanza che le opere in questione ricadono in parte su area demaniale e in parte in area facente parte del patrimonio indisponibile del Comune, con la conseguenza che, nel caso di specie, trattasi non di rapporto di locazione ma di rapporto di concessione, che risulta altresì scaduto da circa nove anni. Ritenuta altresì la natura abusiva delle opere a suo tempo realizzate, non può che ritenersi la legittimità e doverosità dei provvedimenti impugnati».

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